Corriere dello Sport

Addio a Baldini il treno di Forlì

Si rivelò andando a scuola in bici poi conquistò anche Giro e Ora E Casadei gli dedicò una canzone

- Di Giorgio Burreddu

Che avrebbe avuto un futuro nel ciclismo, Ercole Baldini lo capì subito, «andando a scuola a Forlì in bicicletta». Sì, va beh, in tanti lo hanno fatto. «Ma non dietro a Ortelli, Ronconi e Pezzi - diceva lui -, che si incontrava­no spesso sulla via Emilia in allenament­o e regolarmen­te i ragazzini si accodavano. Dopo un po’ loro si scocciavan­o e li lasciavano lì con uno scatto. Con me non ci riuscivano. Allora cominciaro­no a chiedermi chi ero e che cosa facevo, insomma a incoraggia­rmi». Di coraggio e dedizione Ercole Baldini ne ha avuti fino all’ultimo istante. Se n’è andato ieri, a 89 anni, nella sua Villanova di Forlì. Non resta solo il dolore per la scomparsa di un uomo, uno che non sempre aveva il sorriso sulle labbra («Anche quando vorrei essere contento ho uno sguardo un po’ serio», diceva). L’addio di Baldini allarga ancora un po’ il senso di vuoto, lo spazio tra il mondo eroico e nostrano del ciclismo che fu e la modernità standardiz­zata. Con lui si era già nel dopo Coppi, ma ancora non era salito sulle scene Felice Gimondi. Dunque era Baldini a rappresent­are il ciclismo e l’Italia.

Lo aveva fatto da dilettante, nel ’56, quando stabilì il record dell’ora assoluto percorrend­o 46.394 km sulla pista del Vigorelli, 335 metri più di Jacques Anquetil, che aveva ritoccato il primato di Coppi. E Lo fece a Melbourne, quell’Olimpiade lontana e remota che gli valse l’oro. «Non si trovava il disco con l’Inno di Mameli. Così lo intonò un connaziona­le emigrato. Piano piano tutti

gli andarono dietro. Fu un coro molto commovente». Due anni più tardi, con la maglia tricolore addosso, vinse il Giro d’Italia piegando Jean Brankart e il leggendari­o Charly Gaul. E a completare quel ’58 scintillan­te arrivò anche il titolo di campione del mondo a Reims su Louison Bobet.

Quarto di sei fratelli (tutti maschi), a 17 anni Baldini lasciò la scuola per dedicarsi al ciclismo. Dopo i successi presero a chiamarlo “treno”, forse perché, come scrissero sull’Unità, era un «ragazzone dai polmoni come una caldaia e dal cuore come uno stantuffo». Nel ’63 la gente si aspettava da lui altre vittorie e gloria, ma Baldini

vedeva già la fine. Gli scrissero cartelli di protesta: «Torna a mungere le mucche». Lui rispose senza scomporsi: «Non mi offendo, lo facevo da ragazzo, vengo da una famiglia di contadini». Lasciò nel ’64, dopo il secondo posto al Trofeo Baracchi in coppia con Adorni. Non abbandonò mai il ciclismo, scoprendon­e il lato politico e gestionale. Di Ercole Baldini resta però la leggenda. Dopo il successo al Giro, l'autore di “Romagna mia” Secondo Casadei gli dedico un brano: «Il treno di Forlì». Una canzone allegra e veloce. «Viva Baldini, il treno di Forlì». Semplice e forte. Come era lui.

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ARCHIVIO CORSPORT Ercole Baldini era nato il 26 gennaio del 1933

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