Verso il Sei Nazioni con un’Italia più forte
Un anno da ricordare: 16 vittorie tra Nazionale, Under 20 e Femminile Attesi da 4 delle prime 7 al mondo ma tornano Polledri e Riccioni Innocenti: Porsi obiettivi credibili
Se è un sogno non svegliateci. Il rugby italiano archivia il 2022 con un bilancio di 16 vittorie in 32 test con le tre nazionali che misurano il polso del movimento: maggiore, Under 20 e Femminile. Un 50% addirittura impensabile solo dodici mesi fa e maturato grazie alle due clamorose vittorie dei ragazzi di Crowley (Galles e Australia), ma anche in virtù della doppietta dei baby di Brunello a spese dell’Inghilterra e dei quarti ai Mondiali raggiunti dalle azzurre di Di Giandomenico. Di questo e di altro si è parlato ieri nel bilancio tracciato dalla FIR con i media (la parola “debriefing” usatela voi).
«Prima le ragazze ai quarti, entusiasmando, come mai una Nazionale seniores - l’esordio del presidente Marzio Innocenti - E a seguire un novembre altrettanto entusiasmante. Non erano obiettivi facili, ma erano raggiungibili. E il rugby italiano deve porsi obiettivi raggiungibili».
PROSPETTIVE. Alzata l’asticella, e non di poco, il problema è confermarsi. Con la Femminile che saluterà dopo 13 anni il suo guru, Andrea Di Giandomenico, e affronterà un delicato ricambio generazionale, il compito paradossalmente meno arduo ce l’ha la Nazionale maggiore, che sulla rotta per la Coppa del Mondo di Francia 2023 (settembre-ottobre) potrà contare su un gruppo giovane e con ampi margini di crescita. «Il Sudafrica ci ha fatto capire quanto sia lontana la vetta della montagna - ha sottolineato Innocenti - e di questo lo ringraziamo. Vivremo altri momenti difficili, ma ora li possiamo affrontare con ragionevoli prospettive di superarli».
In vista del Sei Nazioni più duro della storia - quattro squadre su sei sono nella Top 7 mondiale - il c.t. Crowley dovrebbe poter contare sui rientri dell’ariete Jake Polledri, reduce da due anni di calvario, e del pilone Marco Riccioni, per una rosa che, al netto dell’infortunio di Halafihi, appare sempre più profonda.
Complici due vittorie, i numeri della Nazionale a novembre sono stati notevoli: in televisione (26 milioni di contatti a livello mondiale), sui social, sulla stampa (13,3 milioni il valore del pubblicato per il marchio FIR). «Se facciamo le cose per bene e non giochiamo con 15 sudafricani travestiti, il rugby attrae, piace e può diventare importante nel nostro Paese» chiosa il presidente.
FILIERA. Il nodo resta il cambio di strategia nella formazione, con le incognite legate al coinvolgimento dei club a livello U.18 e alle modifiche a una filiera che, novembre lo conferma, sta sfornando talenti. «I principi che applichiamo sono gli stessi di prima - garantisce Daniele Pacini, responsabile dell’area tecnica Monitoriamo tutte le settimane i giocatori di franchigie e Top 10. E la serie A, molto focalizzata sulla formazione, per alcuni ruoli (prime linee, ad esempio) può essere un contesto idoneo. In più va avanti il Progetto Exiles: seguiamo oltre 150 ragazzi di passaporto italiano e ne abbiamo già 2-3 da inserire nelle accademie di Treviso e Zebre».
Preoccupa però la frattura creatasi tra FIR e Top 10, con i club d’elite che hanno rifiutato di far giocare i giovani delle Accademie, quelli che hanno sconfitto due volte gli inglesi, dirottati così in serie A... Un autogol clamoroso. «Nell’attuale Nazionale solo il 10% dei giocatori ha conosciuto il rugby in società di Top 10. E se una di queste (il Petrarca; ndr) fa 50 persone al debutto da campione d’Italia, mentre Paganica-L’Aquila in serie B ne richiama 2000, il problema non è del rugby, è di quella società - la stoccata di Innocenti Detto questo, in Nuova Zelanda qualunque club sa come portare quel ragazzo al massimo livello. Poi chi ha l’XFactor gioca con gli All Blacks. Noi vogliamo che sia così anche da noi e che quello italiano diventi un sistema evoluto».
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