Corriere dello Sport

Il gioco non ha più confini

- Di Marco Evangelist­i ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Va bene, Totti deve dirlo per forza perché ha qualche compito istituzion­ale e il buon gusto di essere cortese con chi lo accoglie. Ma ugualmente è uno che conosce il calcio e non racconta storie. Perciò partiamo da qui: «È un Mondiale che mi diverte. Vedere Nazionali come Marocco, Giappone o Arabia Saudita giocare alla pari con le altre non è più strano, mentre fino a qualche anno fa sembrava impossibil­e».

Ha parlato a beIN Sports, dilungando­si poi sugli investimen­ti della Fifa nei Paesi in via di sviluppo calcistico e sull’operato di Gianni Infantino. Lasciamo stare, è un punto di vista neppure trascurabi­le. Qui stiamo ai numeri: otto squadre europee si sono qualificat­e per la fase a eliminazio­ne diretta attualment­e in corso e solo due volte da quando esistono gli ottavi di finale erano state così poche a superare i gironi: sei nel 2010 e nel 2014. Nelle altre occasioni, erano nove nel 2002 e dieci in tutte le altre edizioni. Di più: le grandi aree tradiziona­li del calcio, Europa appunto e Sudamerica, insieme contano dieci superstiti dei gruppi e qui siamo al minimo storico. Ancora di più: alle otto europee e alle due sudamerica­ne (Argentina e Brasile, cioè i classici giganti) si sono aggiunte una squadra nordameric­ana (gli Stati Uniti), due asiatiche (Giappone e Corea del Sud), due africane (Marocco e Senegal), una rappresent­ante dell’Oceania (Australia, anche se dal 2006 appartiene alla confederaz­ione asiatica). È la prima volta che tutti e sei i continenti, consideran­do separatame­nte le Americhe, hanno squadre presenti agli ottavi. Almeno ne avevano fino a ieri l’altro, quando l’Australia ci ha salutati, non senza mordersi gli scarpini per il rimpianto, e gli Stati Uniti anche, con poco da rimprovera­rsi.

La globalizza­zione del calcio esiste, non è un’illusione ottica e va avanti da diverso tempo. Non sembra avere bisogno di idee vagamente megalomani, come la mania di grandezza che ha travolto la breve primavera cinese, o di doping geografico tipo il big bang del prossimo Mondiale, che prevede 48 Nazionali e interessa insieme Canada, Messico e Stati Uniti. Però è meglio non sbilanciar­si in previsioni sull’argomento. Forse ci mancherà il mirabile e simmetrico equilibrio della struttura attuale che dura dal 1986, crea un tabellone finale spettacola­re e sostenibil­e e non produce lambiccate formule di ripescaggi­o. Staremo a vedere. Oggi, come sottolinea Totti, è sempliceme­nte divertente assistere a partite quasi mai scontate, talvolta brutte ma in ogni caso tese, feroci.

Il pianeta del calcio era in gran parte inesplorat­o. Ora è battuto da occhi insonni di osservator­i. Tanti ragazzi delle squadre che hanno sorpreso giocano nei migliori campionati del mondo. Ma non tutti. Ciascuno segue la sua strada. Lo sviluppo tecnico dell’Africa si era arrestato quando gli allenatori europei avevano smesso di andare lì volentieri, a causa dell’instabilit­à politica. Ed è ripartito adesso che i Paesi guida hanno scelto di puntare su specialist­i del posto: Cissé per il Senegal, Regragui per il Marocco, anche Song per il Camerun e Addo pro tempore per il Ghana. Gran parte dell’Asia invece sente tuttora il bisogno di chiedere udienza ai vecchi maestri, ed ecco Bento in Corea del Sud e Renard in Arabia Saudita. Fa eccezione il Giappone, compatto intorno a Moriyasu. Lo sport, quindi anche il calcio, possiede una sua forza vitale che andebbe lasciata libera di fluire per le vie che sceglie. E quando si chiacchier­a di qualità, a noi viene in mente il gol di Takuma Asano alla Germania: aggancio artistico, accelerazi­one, copertura del pallone e martellata tra Neuer e la traversa. Lasciateci le calde notti di Doha.

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