Pantani, il maledetto doping Dorando Pietri e la lezione di Brera
Carissimo Cucci, grazie per la pagina su Pantani che mi ha riportato un bel pezzo indietro nel tempo a rivivere gli anni d’oro del ciclismo fino alla tragica chiusura con la morte di Marco. Il ciclismo allora era reduce da grandi trionfi di folle che si riversavano sulle strade di Italia, Francia, Spagna e un po’ in tutta Europa e i grandi campioni impazzavano su questo grande palcoscenico. Era il 1949, Coppi aveva vinto il Giro d’Italia e venne a Firenze per un circuito cittadino e io ragazzo tredicenne feci un coda di due ore per attendere che arrivasse Fausto e venne, in bicicletta, passando fra una muraglia di appassionati: riuscii a guadagnare il breve tracciato su cui passò il Campionissimo e quando arrivò davanti a me riuscii a dargli un pacca sulla schiena e per questo tutti gli amici che erano con me mi convinsero a non lavarmi quella mano almeno per qualche giorno! Eravamo ragazzi, facevamo pazzie così come ora avviene per il calcio, ma purtroppo già cominciava a serpeggiare nel mondo delle due ruote l’uso delle droghe che per i primi anni furono abbastanza contenuto ma piano piano presero sempre più i retroscena del mondo delle corse che, ricordo, coinvolsero come dal suo racconto di testimone - Simpson, Merckx e altri dimenticati perché non famosi. Poi venne Marco Pantani e con lui iniziò a morire anche il ciclismo con il doping che ormai è arrivato perfino al ciclismo giovanile dove hanno trovato positivi anche i ragazzi… Così tanti, come me, hanno detto addio alle biciclette…
Piero Santerini, Firenze gmail.com