Gli stadi del futuro? San Siro, San Flaminio e Sant’Artemio
Bisogna fermare i barbari che vogliono distruggere alcuni dei monumenti più belli dedicati allo sport
Caro Cucci, il nome del nuovo stadio di Roma è per me determinante per tutto, specie per un simbolo che rappresenta una terra immortale ed immortalata. Pertanto, oltre alla costruzione fisica si dovrebbero analizzare altre realtà composite e la stampa dovrebbe avere un fondamentale ruolo dando voce ai cittadini/tifosi. Quattro sono gli elementi da considerare afferenti al nuovo superstadio della Città Eterna con esclusivi valori aggiunti da distinguerlo da tutti gli altri nel globo terracqueo: 1) Denominazione: Stadio “IMPERO ROMANO”, in latino.
2) Monumento a Italo Celestino Foschi (politico e dirigente sportivo italiano, fondatore e primo presidente della Associazione Sportiva Roma). 3) Monumento a Gabriele d’Annunzio inventore dello scudetto tricolore.
4) Spazio riservato anche agli sponsor a cominciare da Kiichiro Toyoda padre della rivoluzione industriale nipponica e sponsor della maglia giallorossa.
Luciano Di Camillo, Chieti - libero.it
Luciano, non si offenda se ci gioco un po’ sulla sua mail IMPERIALE. Ci sto, a inaugurare un nuovo stadio ma all’evento si imponga il canto dell’Inno a Roma - musica di Puccini, parole di Orazio (adattate da Fausto Salvatori) - nato per celebrare (in mancanza di meglio, dicono i maligni) varie competizioni ginniche allo Stadio Nazionale di Roma con i Savoia presenti. L’Inno a Roma, cantato durante il saggio ginnico - narrano le cronache - venne accolto con grande successo. Ma io scherzo. Col fegato ingrossato. Perché non sopporto la stadiomania scoppiata da anni a Roma, a Milano, a Firenze. A Milano i
lumbard sono svegli - stanno accorgendosi che la soluzione migliore è ammodernare San Siro. Abbatterlo è come distruggere una cattedrale solo perché è vecchia. Porta anche male.
È capitato a Notre Dame, il 15 aprile 2019, per disgrazia; la stanno ricostruendo uguale con aggiustamenti tecnici adeguati.
ROMA -
L’Olimpico, a botte di settantamila spettatori scatenati da Mourinho ha dimostrato d’essere la miglior scelta possibile con correzioni “progressiste”; la Lazio ha già il suo stadio, il Flaminio, capolavoro di Pier Luigi Nervi, grande maestro dell’architettura italiana che tuttavia pretendeva che lo si chiamasse ingegnere vista la scarsa fiducia negli architetti (c’è ancora, oggi, chi si fida dippiù dei geometri). Ho scoperto Nervi in America, in Australia, in Nuova Zelanda, nei mondi antichi e nuovissimi, l’ho studiato quando sono arrivato a Pantelleria, fine anni Ottanta, e ho visto l’hangar che ha costruito nell’Isola prima della guerra su incarico di Mussolini che voleva dar sicurezza alla sua Portaerei Inaffondabile. Una meraviglia dal punto di vista tecnico e stilistico. Poi ho ritrovato lo stadio fiorentino prima dedicato a un giovane eroe di Firenze, Giovanni Berta, diventato poi Campo di Marte, infine Stadio Artemio Franchi. Commisso - che non è un intellettuale di Capalbio ma neppure uno sprovveduto e per questo mi inquieta - ne pretende la demolizione perché é “troppo vecchio”. Non sa, il generoso calabro/americano, che lo stadio fiorentino è un esempio di architettura razionalista, una delle più innovative e avveniristiche architetture italiane tra le due guerre, come dimostra la pensilina priva di sostegni intermedi, le scale elicoidali e la torre di Maratona ammirati in tutto il mondo. Capolavori. Lasciateli vivere al sole o nelle notti magiche con i loro sogni, i vecchi stadi d’Italia risonanti di canti e glorie smarriti con il progresso; salvate dall’ignoranza della Storia soprattutto quella copertura fiorentina svettante che porta l’arte nello sport, e lo sport nell’arte.
Quando non ci saranno più, i nostri cari vecchi stadi, sarà finito anche il calcio che amavamo. Quello ch’è arrivato - Denaro & Ignoranza - non vi offende?