Corriere dello Sport

De Rossi gongola «Lukaku, così sì»

«L’ho visto andare in panchina e poi entrare lottando su ogni pallone: questo è lo spirito giusto»

- Di Roberto Maida

Sdal giorno del e il campionato fosse co minciato suo arrivo a Trigoria, la Roma sarebbe terza in classifica a un punto dal Bologna e a tre dall’Inter. Il consenso attorno al suo nome è plebiscita­rio per un mese e mezzo di lavoro e risultati fuori dall’ordinario. In più la sua partita è quella dal coefficien­te di difficoltà meno elevato, rispetto ai quattro scontri diretti che riguardano le concorrent­i per l’Europa. Ma proprio per questo Daniele De Rossi non esalta e non si esalta perché gli obiettivi stagionali sono ancora molto lontani. E poi vincere a Monza, 11 punti nelle ultime 5 partite senza sconfitte, non è così facile anche per una squadra in salute e in fiducia: «Conosco bene Raffaele Palladino, ci siamo sentiti anche qualche giorno fa. Abbiamo seguito insieme il corso a Coverciano e poi ci siamo trovati tutti e due con una cosa che ci è scoppiata in mano... A lui prima che a me. Penso che il futuro sia dalla sua parte ma ovviamente voglio batterlo».

UNIONE. Con lo spirito di questo inizio, si può: «Io cerco di gestire un gruppo. Lo facevo anche negli ultimi anni da giocatore, quando ero il capitano della Roma. Ma è logico che adesso il ruolo sia diverso perché comporta la scelta di mandare 11-12 persone in panchina. E non tutti possono essere contenti. Ma stiamo cercando di lavorare per sentirci una famiglia, in cui si va al campo con piacere e si spende un’ora di tempo in più per fare una terapia o un po’ di postura. Se da allenatore mi dovessi accorgepro­prio re che non c’è abbastanza profession­alità, il mio atteggiame­nto non sarebbe così sorridente e amichevole come lo vedete oggi».

IL GIGANTE. Il simbolo di questo ragionamen­to è Romelu Lukaku, per la prima volta sostituito o addirittur­a escluso da De Rossi: «Siamo tutti in discussion­e, io per primo. Lukaku ha giocato 100 partite di fila, ci può stare che una volta vada in panchina. Poi però contro il Torino lo vedi entrare e lottare su ogni pallone e correre come un matto: sembrava un ragazzino alla prima presenza in Serie A». Sorprenden­te: «Ma perché? Ha fatto solo il suo lavoro. Anche quando ero giocatore mi arrabbiavo se un compagno usciva dalla panchina con modi da fenomeno. In questo spogliatoi­o però nessuno è così».

TRANSIZION­E.

La forza del gruppo si capisce anche dalla capacità di isolarsi dalle vicende di una delicata fase societaria: «E’ merito della proprietà e dei dirigenti. Non sono insensibil­e a ciò che accade ma sono nelle condizioni ideali per lavorare».

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BARTOLETTI L’abbraccio tra Daniele De Rossi e Romelu Lukaku

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