De Rossi gongola «Lukaku, così sì»
«L’ho visto andare in panchina e poi entrare lottando su ogni pallone: questo è lo spirito giusto»
Sdal giorno del e il campionato fosse co minciato suo arrivo a Trigoria, la Roma sarebbe terza in classifica a un punto dal Bologna e a tre dall’Inter. Il consenso attorno al suo nome è plebiscitario per un mese e mezzo di lavoro e risultati fuori dall’ordinario. In più la sua partita è quella dal coefficiente di difficoltà meno elevato, rispetto ai quattro scontri diretti che riguardano le concorrenti per l’Europa. Ma proprio per questo Daniele De Rossi non esalta e non si esalta perché gli obiettivi stagionali sono ancora molto lontani. E poi vincere a Monza, 11 punti nelle ultime 5 partite senza sconfitte, non è così facile anche per una squadra in salute e in fiducia: «Conosco bene Raffaele Palladino, ci siamo sentiti anche qualche giorno fa. Abbiamo seguito insieme il corso a Coverciano e poi ci siamo trovati tutti e due con una cosa che ci è scoppiata in mano... A lui prima che a me. Penso che il futuro sia dalla sua parte ma ovviamente voglio batterlo».
UNIONE. Con lo spirito di questo inizio, si può: «Io cerco di gestire un gruppo. Lo facevo anche negli ultimi anni da giocatore, quando ero il capitano della Roma. Ma è logico che adesso il ruolo sia diverso perché comporta la scelta di mandare 11-12 persone in panchina. E non tutti possono essere contenti. Ma stiamo cercando di lavorare per sentirci una famiglia, in cui si va al campo con piacere e si spende un’ora di tempo in più per fare una terapia o un po’ di postura. Se da allenatore mi dovessi accorgeproprio re che non c’è abbastanza professionalità, il mio atteggiamento non sarebbe così sorridente e amichevole come lo vedete oggi».
IL GIGANTE. Il simbolo di questo ragionamento è Romelu Lukaku, per la prima volta sostituito o addirittura escluso da De Rossi: «Siamo tutti in discussione, io per primo. Lukaku ha giocato 100 partite di fila, ci può stare che una volta vada in panchina. Poi però contro il Torino lo vedi entrare e lottare su ogni pallone e correre come un matto: sembrava un ragazzino alla prima presenza in Serie A». Sorprendente: «Ma perché? Ha fatto solo il suo lavoro. Anche quando ero giocatore mi arrabbiavo se un compagno usciva dalla panchina con modi da fenomeno. In questo spogliatoio però nessuno è così».
TRANSIZIONE.
La forza del gruppo si capisce anche dalla capacità di isolarsi dalle vicende di una delicata fase societaria: «E’ merito della proprietà e dei dirigenti. Non sono insensibile a ciò che accade ma sono nelle condizioni ideali per lavorare».