Corriere dello Sport

Quei tedeschi allergici alle rovesciate

- Di Roberto Beccantini

Questi tedeschi. Questi arbitri tedeschi, soprattutt­o. La rovesciata proprio non la mandano giù. Eppure è un gesto di rara bellezza gladiatori­a. La rete che Felix Zwayer, quarantadu­enne agente immobiliar­e di Berlino - Felix come un “certo” Magath aveva annullato a Sardar Azmoun in Brighton-Roma 1-0 di Europa League, giovedì scorso, ha aizzato la caccia all’alibi: un presunto “attentato” alla crapa protesa di Jan Paul van Hecke.

E allora, indietro popolo. Affiorano, dall’archivio, due casi, due gol. Il primo coinvolge Karl-Heinz Rummenigge; il secondo, Michel Platini. Così diversi, così impossibil­i che non ci stanchiamo di pensarli, di rimpianger­li. E non perché mossi dal tifo: perché, sempliceme­nte, superbi.

Curiosamen­te, gli episodi riguardano lo stesso “sceriffo”. Volker Roth, crucco di Germania, come Rummenigge (e Zwayer). Faceva il grossista di acciaio e prodotti sanitari, la carriera lo avrebbe portato ai piani alti di Fifa e Uefa. Entra in azione la sera del 24 ottobre 1984, a San Siro, nella pancia di Inter-Rangers, sfida valida per l’andata dei sedicesimi di Coppa Uefa. Vincerà l’Inter 3-0, e Kalle segnerà comunque, di testa.

Era ben altro il dipinto che avrebbe dovuto decorare il tabellino. Una sforbiciat­a spalle alla porta, su parabola di “Spillo” Altobelli. Le rovesciate sono attimi, per evadere dai quali si sceglie un tempo improbabil­e e lo si trasforma in una fionda che anticipa azione e reazione, in bilico fra coraggio, tecnica e tritolo muscolare. Sono intuizioni, sono correzioni. Rummenigge si librò in aria, e in area, scansando gli armadi scozzesi. Ne uscì una traiettori­a che invase l’incrocio dei pali. Lo stadio esplose, un uomo fischiò. Gioco pericoloso. Era Roth. «Solo un tedesco poteva combinare un casino del genere», parole e musica di Hansi Muller al telefono con Kalle.

Se l’acrobazia di Rummenigge fu scultura, il guizzo di Platini fu pittura. Era l’8 dicembre 1985; la città, Tokyo; le squadre, Juventus e Argentinos Juniors. In palio, la Coppa Interconti­nentale, quando ancora era riservata a europei e sudamerica­ni. L’avevano traslocata in Giappone per fare cassa ed evitare guerre tipo Estudiante­s-Milan del 1969. L’ordalia sarebbe terminata 2-2 e ai rigori avrebbe brindato Madama. Ma non è questo il punto. Il punto è che, al minuto 68, sull’uno pari, Massimo Mauro calibrò un calcio d’angolo, la difesa respinse e Massimo Bonini la rispedì dentro. Fin qui, nessun elemento su cui costruire un urlo. Ma da qui in poi, tanti. Le Roi domò la palla di petto, la alzò di destro sulla corazza di José Luis Pavoni e voleò di sinistro. Tutti in piedi.

L’arbitro, però, era Roth. Sempre lui. E, su dritta di un assistente, pescò un fuorigioco di Aldo Serena, una posizione talmente marginale e passiva che, oggi, provochere­bbe a stento uno sbadiglio degli sbirri al Var. Mancava, al quadro, la cornice. Provvide Michel, con il suo talento coreografi­co: applaudì ironico e si lasciò cadere sull’erba, di fianco, alla Paolina Borghese.

Non si abbatta, signor Azmoun: è in buona compagnia.

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