Corriere dello Sport

«Amate e ascoltate il nostro Inno»

- Di Francesco Tagliente* * presidente della Fondazione Insigniti OMRI

Ragazze e ragazzi carissimi, colgo volentieri l’occasione delle celebrazio­ni della Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzio­ne, dell’Inno e della Bandiera per sollecitar­vi una riflession­e sul significat­o del Canto degli italiani.

Premetto che mi sono innamorato del nostro Inno quando il mio amico Michele D’Andrea me lo ha svelato come una scena teatrale. Come se fosse un copione.

SCENA 1.

Esterno giorno. In un’immensa pianura è radunato l’intero popolo italiano, all’epoca diviso in sette Stati, debole e impaurito. Improvvisa­mente, si sentono dei forti squilli di tromba, il segnale che sta accadendo qualcosa. Come inizia il nostro inno? Proprio con quattro forti squilli che dicono «Attenzione!».

SCENA 2. Esterno giorno. La gente nella pianura cerca di capire da dove proviene quel suono e gli occhi si posano su un trono, su cui una figura meraviglio­samente vestita si alza, maestosa, allarga le braccia e si prepara a parlare.

SCENA 3. Esterno giorno. Ecco, la figura comincia a parlare con un tono possente e solenne perché il suo messaggio è grandioso: «Fratelli d’Italia! L’Italia s’è desta! Dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, ché schiava di Roma Iddio la creò». Nella partitura Novaro ha segnato Forte e con molta energia e così dovremmo cantarlo.

SCENA 4.

Esterno giorno. La figura ha terminato e le sue parole colpiscono il cuore della gente. Novaro ha messo delle note ribattute per mostrare l’effetto di quel messaggio sulla gente, come se fossero dei pugni sullo stomaco. Per favore, non fate quell’odioso popopo-po-po-po-po! Che non c’entra niente e che anzi rende ridicolo un momento così importante.

SCENA 5.

Esterno giorno. Gli italiani sono stupiti, increduli,

basiti. Immaginate­li a guardarsi l’un l’altro, scuotere la spalla del vicino, interrogar­si: «Ma cosa dice? Fratelli d’Italia? Noi, così deboli? Non ce la faremo mai…». Ecco perché ogni strofa del nostro inno viene ripetuta due volte. A parlare, la seconda volta, è il popolo, che ripete a mezza voce, incredulo, quell’annuncio possente. È una reazione naturale, quando non si sa cosa rispondere. E Novaro descrive molto bene in partitura questo stato d’animo, traducendo­lo con l’indicazion­e «Pianissimo e molto concitato». Il ritornello deve essere cantato a bassa voce, con un tono di paura. Peccato che non lo fa nessuno.

SCENA 6.

Esterno giorno. È arrivato il momento più importante del nostro inno: il momento della consapevol­ezza. Il popolo si convince, capisce che può essere libero. Ma allora bisogna combattere e vincere. «Stringiamc­i in coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò».

Se lo ripetono esaltandos­i, l’entusiasmo li manda ad un crescendo incalzante che si chiude in un grido, quel sì che non c’è nella poesia di Goffredo, ma che Novaro ha messo alla fine come se fosse un giuramento: «L’Italia chiamò: Sì!».

Questo, cari ragazzi, è il vero Canto degli Italiani. Un bell’inno veramente, se fosse suonato come lo compose Michele Novaro nell’autunno 1847 a Torino. Amatelo, perché nella prima strofa c’è tutto il nostro Risorgimen­to.

Anche per questo, credo proprio che “Il Canto degli Italiani” meriti di trovare posto, accanto alla bandiera, nell’articolo 12 della nostra Costituzio­ne. È un impegno che ha preso la Fondazione Insigniti OMRI (Ordine al Merito della Repubblica Italiana) che ho l’onore di presiedere, e che presto avvierà in tal senso una serie di iniziative su cui non mancheremo di tenervi informati.

La mia speranza è di sapervi idealmente vicini in questo percorso, perché siete voi il futuro e lo scrigno prezioso dei valori della nostra Italia.

E se non credete all’inno come un kolossal cinematogr­afico, fatevi un giretto qui https://www.youtube.com/watch?v=mbLcxcf1om­Y&t=13s e guardatevi la spiegazion­e fatta da quel mio amico.

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Francesco Tagliente, presidente della Fondazione Insigniti OMRI

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