«A Sonego dissi: non sei solo la spalla di Jannik»
Arbino ex coach di Sonny ancora col cuore a pezzi
«Eh, non è facile». Subito lacrime. Fa fatica “Gipo” Arbino, all’anagrafe Gian Piero, a metabolizzare il fatto di non essere più l’allenatore di Lorenzo Sonego. Il torinese classe ’55, è stato tennista autodidatta di un buon livello in Italia, ma da coach ha toccato vette insospettabili. Perché quel bambino secco e brontolone di 10 anni che fu affidato a lui è uno dei protagonisti del glorioso movimento azzurro dei nostri giorni. “Sonny” ha spazzato via lo scetticismo di chi nelle categorie giovanili gli ha visto collezionare sconfitte. Ha battuto 6-2 6-1 Djokovic, ha conquistato tre titoli ATP, ha alzato la Coppa Davis. E lo ha fatto sempre seguendo la stessa guida tecnica e umana. “Gipo”, che è stato per lui un secondo padre. Fino all’addio del 28 marzo.
Quali sono i suoi primi ricordi di Sonego bambino?
«Dissero al papà che Lorenzo aveva qualità. Così, tramite un amico in comune, arrivò al Circolo La Stampa Sporting di Torino per farmelo vedere. Bastarono un paio di palleggi per capire che il bambino fosse portato per il tennis. Mi piaceva: era uno “scugnizzo” magrolino e piccolino con la voce rauca. Sin da piccolo aveva cuore, carattere e grinta. E, venendo dal calcio, si muoveva già bene».
Come avete fatto a continuare a crederci nonostante le sconfitte nei tornei giovanili?
«Mi piaceva come ragazzino. Era simpatico, faceva ridere. In campo urlava, si insultava. I genitori si preoccupavano, a me interessava che non dicesse parolacce. Poi aveva una grandissima passione: oltre alla scuola tennis in settimana, nei weekend si intrufolava in campo con gli amici, anche al buio, per tirare dritti e rovesci».
Quando è stata la svolta?
«Innanzitutto quando è cresciuto in altezza (oggi è alto 191 centimetri, ndc). Poi l’estate del 2014, quando 19enne superò le qualificazioni del Futures di Fano e perse al tie-break del terzo set con Federico Gaio (arrivato n. 124 ATP, ndc). Chiamai i tecnici federali Giancarlo Palumbo e Umberto Rianna e iniziò l’avventura. Dopo meno di due anni Lorenzo era tra i primi 300 giocatori del mondo».
Una volta diventato professionista, Sonego è rimasto lo stesso ragazzo di sempre?
«Sì. Anzi, ancora più attaccato a me. Riconoscente, affezionato. Quando qualcuno parlava male di me, lui rispondeva: “Gipo è il miglior maestro del mondo”. Quando vinse il suo primo ATP, ad Antalya nel 2019, urlò: “Gipo, ti amo”. Sono stato come uno zio per lui. Gli ho insegnato tutto quello che si insegna ad un figlio».
Quali sono le prime gioie vissute con Sonego?
«Antalya, il primo titolo Challenger ad Ortisei nel 2017, la semifinale al Foro Italico nel 2021, la vittoria con Djokovic a Vienna l’anno prima e la Coppa Davis. A Malaga gli ho detto: “Sentiti protagonista, non solo spalla di Sinner”. Sono stati bravissimi».
Come le ha comunicato la decisione di cambiare allenatore?
«Dopo aver perso con Daniel Evans a Miami mi ha detto: “Domani dobbiamo parlare”. Ho capito subito. Anche perché era un anno che ne discutevamo. Mi aveva chiesto dei cambiamenti: io penso di averli fatti, lui non è d’accordo. Ma ci vorremo bene per sempre».
E adesso Sonego cosa farà?
«L’obiettivo del 2024 era il ritorno nella Top 30 del ranking ATP. Credo che il suo nuovo coach sarà Fabio Colangelo, ma non ci sono certezze».