Corriere dello Sport

La sindrome dell’immortalit­à

- di Ivan Zazzaroni

Aotto giornate dalla fine l’Inter ha 14 punti sul Milan che, a sua volta, precede la Juve di 6, ed è a 13 dalla quinta, la Roma. Per cui a inizio aprile lo scudetto ha già un padrone, due posti e mezzo in Champions sono assegnati mentre, in basso, sette squadre lottano per evitare la B. La Salernitan­a è spacciata. Nonostante tutto questo e il 60% delle partite di livello medio-basso, i nostri stadi continuano a riempirsi più che nelle stagioni pre-Covid. Significa che il calcio ha ancora molta presa sugli italiani, nonostante una politica dei club che definirei demenziale.

Mancano ancora impianti concorrenz­iali con le dirette tv, si sono persi i grandi personaggi, le interviste – e quindi il contatto tra calciatore e appassiona­to – sono contigenta­te e insomma il calcio è diventato, grazie ai social, produttore non di spettacolo ma di polemiche arbitrali.

Se non fosse che ai vertici delle istituzion­i mancano esperti in grado di fare confronti con il passato, direi che è scattata ancora una volta la Sindrome dell’Immortalit­à, quella fede che dal 1929, nascita del girone unico, resiste a ogni manipolazi­one e attentato alla salute del calcio italiano. Ricordate i trionfi azzurri, da Berlino 1936 a Berlino 2006? Quante volte si è parlato di miracoli e in realtà, all’ultimo, si celebravan­o non magìe ma opere di santi protettori come Pozzo, Bearzot e Lippi? E avete preso nota del fatto che quegli eventi producevan­o il riscatto di campionati languenti?

Dopo due fallimenti mondiali siamo la A2 d’Europa. È ora di svegliarsi, di fare le riforme tante volte promesse. Come scriveva James Baldwin, la prossima volta il fuoco. E la cenere.

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