Corriere dello Sport

Aurelio merita fiducia

- Di Massimilia­no Gallo

Èstato un anno sabbatico. Tanto tempo fa, un anno così si perdeva quando si faceva il servizio militare. Prima di tuffarsi nella vita da adulti. Il Napoli e De Laurentiis si trovano più o meno nella stessa condizione. Hanno vissuto la gioia più grande: lo scudetto. E subito dopo è arrivata una cocente disillusio­ne, probabilme­nte l'annata più anonima del ventennio partenopeo del signor Aurelio. Che si è dimostrato decisament­e più umano di quanto abbia voluto lasciar intendere per tutto questo tempo. Lui, da sempre descritto come un cinico razionale, attento unicamente ai propri conti, è stato emotivamen­te travolto dalla vittoria e dalla conseguent­e ondata di popolarità. Al punto da aver prodotto danni al bilancio della propria azienda. Perché Aurelio De Laurentiis tutti gli errori commessi in questa balorda stagione li ha pagati due volte. Sul campo e nel conto economico.

Come evidenziat­o da Forbes, il presidente del Napoli non figura nella classifica dei ricconi del pianeta calcio. Al primo posto ci sono i proprietar­i del Como, la famiglia Hartono. Poi Commisso, Friedkin, Saputo, Renzo Rosso, John Elkann. E giù fino a Danilo Iervolino. Di De Laurentiis non c'è traccia. Perché non è un signore che si diverte col calcio. Ma fa impresa con il calcio, ci vive. È ben diverso. E l'ha pagata a caro prezzo l'annata vissuta pericolosa­mente pur di dimostrare che lo scudetto era soprattutt­o merito suo e non di Spalletti e Giuntoli. Ha perso i soldi del Mondiale per Club. Ha perso quelli della Champions (manca l'aritmetica ma ci vorrebbe un miracolo). E deve fare i conti con la svalutazio­ne della rosa che in Europa è seconda solo a quella del Manchester United.

È il primo a volere un'inversione di tendenza. Ed è fisiologic­o che il giudizio su di lui sia sospeso. Perché in vent'anni, De Laurentiis il suo credito se l'è conquistat­o eccome. Non è solo la favoletta - peraltro vera - del Napoli rilevato in Serie C e portato allo scudetto. Ha creato un club e una squadra che da oltre un decennio sono ai vertici del calcio italiano e occupano stabilment­e una solida seconda fascia in Europa. È il motivo per cui ora Napoli, al di là dei fisiologic­i estremismi, vive una sensazione di grande attesa. Di sospension­e. La sbornia della vittoria è passata. Il risveglio è stato amaro. E l’annunciato film sul terzo scudetto suona persino come una beffa. Ma la fiducia in De Laurentiis resiste, tra mugugni e finta indifferen­za. L'uomo è sempre ripartito. Ogni volta che si è trovato sul baratro. Quando in Serie C il Napoli perse lo spareggio promozione con l'Avellino. Quando naufragò l'operazione Donadoni e si ritrovò nei bassifondi della classifica e scelse Mazzarri. Quando si affidò al duo di sconosciut­i Sarri e Giuntoli per ritornare in Champions League. E anche quando portò a Napoli Luciano Spalletti allora etichettat­o - anche dalle serie tv - come perdente e inadatto ad allenare i fuoriclass­e. È il motivo per cui il prossimo sarà l'anno verità. E stabilirà se sia stata solo confusione da euforia o se effettivam­ente sia cominciato il declino.

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