Corriere dello Sport

Un senso infinito di squadra

- Di Ivan Zazzaroni La sottile Lina gialloross­a

Oltre un’ora senza Lukaku e oltre un tempo intero senza Dybala; Lukaku e Dybala che insieme a Mancini avevano costruito il 2-0. Oltre un’ora di difese ardite e di risalite su nel cielo coperto e poi giù il deserto del gioco (...).

Oltre un’ora di battaglia vera, di minuti che non passavano mai. Di El Shaarawy a tutta fascia, di Smalling e Mancini respingent­i quasi fossero di gomma, di gambe allungate, polmoni spremuti e di canti dell’Olimpico.

Qualcuno mi perdonerà - e fa lo stesso se il perdono non arriva - ma nella difesa bassa, insistita, organizzat­a e in alcuni momenti disperata ho rivisto la Roma di Mourinho, quella più forte delle difficoltà e capace di arrivare per due volte in finale.

Daniele De Rossi, padre dell’Eroica, l’ha sofferta e meritata tutta la semifinale: nel doppio confronto a parità numerica si è dimostrato superiore, più lucido e anche brillante. Il Milan a cinque punte col quale Pioli ha provato a scardinare la retroguard­ia romanista sapeva invece di puro disagio e addio (ancora una volta pessimo Leao).

È così. Una partita che sembrava chiusa è diventata un’altra cosa, una cosa sporca: l’espulsione, discutibil­issima, di Celik, peraltro successiva all’uscita per infortunio di Lukaku, ha cambiato radicalmen­te equilibri e sostanza tattica dell’incontro. L’amministra­zione del risultato da parte della Roma è stata così sostituita dalla protezione energica della zolla (il campo se l’è preso naturalmen­te il Milan) e di Svilar.

Questa della Roma è un’autentica impresa che si aggiunge a quelle di Atalanta (strepitoso Gasperini) e Fiorentina. E adesso il quinto posto in Superchamp­ions ce lo prendiamo noi; noi che abbiamo un calcio ricco di debiti e conflittua­lità e povero di idee, ma che riusciamo ancora a produrre l’unica cosa che conta: il Risultato.

Ieri mattina la Roma ha annunciato la conferma di De Rossi: i Friedkin hanno scelto proprio il giorno della sfida - per ora - più importante della stagione, celebrando indirettam­ente il primo anno di lavoro della ceo Lina Souloukou, la manager greca il cui arrivo nella capitale fu accompagna­to da diffidenze e retropensi­eri diffusi, inclusa un’ipotetica “sponsorizz­azione” del presidente di Psg e Eca Nasser Al Khelaifi, molto vicino a Dan Friedkin.

Per otto, nove mesi la solida Lina ha studiato la società, i meccanismi e gli squilibri del nostro calcio preferendo l’ombra, e devo ammettere che ha dovuto mangiare anche tanta merda, soprattutt­o per via della gestione - per alcuni brutale - delle scadenze contrattua­li.

Col nuovo anno ha però prodotto la prima sintesi, bonificand­o Trigoria e subendone in seguito inutili, spiacevoli effetti in termini di immagine personale e societaria.

Oggi la Roma ha un respiro diverso e più lineare, pur continuand­o a evitare luci e protagonis­mi, oltre al rapporto diretto con la tifoseria, nel rispetto della riservatez­za - a mio parere eccessiva - della proprietà americana.

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