Corriere dello Sport

Se la realtà continua a superare i sogni

Campione del mondo, la Bombonera e ora un’altra carriera da dedicare alla sua Roma

- Di Chiara Zucchelli

ROMA - «Quando sarà, saremo», ha detto Daniele De Rossi qualche giorno fa riportando la frase di un amico. Daniele De Rossi oggi è: l’allenatore della Roma del presente e del futuro. E non (più) perché è stato una bandiera, un ottimo capitano, un leader e l’unico che poteva ereditare la fascia da Francesco Totti. Daniele De Rossi è e sarà l’allenatore della Roma perché ha meritato di meritare la conferma in tre mesi in cui ha messo tutto quello che poteva: entusiasmo, comportame­nti, competenza. E poi: l’umiltà di essere un tecnico alle prime armi ma anche un pizzico di sana presunzion­e perché sicuro di se stesso e del suo staff.

IL NUOVO DDR. Arriva al campo alle sette di mattina, non più tardi delle otto, e se ne va quando è sera. Ha un ufficio accanto allo spogliatoi­o e ci trascorre gran parte della giornata quando non è in campo. Allena, studia, riflette: adora preparare le partite, studiare i dettagli, è un malato di calcio. E anche di sport, pure se da quando è in panchina ha dovuto rinunciare a un po’ di padel con gli amici. Una delle sue frasi più famose dice: «Ho un solo rimpianto: aver donato una sola carriera alla Roma». Ecco: da ieri gliene può dedicare più di una.

IL VECCHIO DDR. Chissà se lo immaginava quando, da ragazzino, chiedeva ai genitori la maglia di Rudi Vöeller. Oppure quando da adolescent­e si allenava con la prima squadra campione d’Italia cercando di rubare qualcosa a Emerson, Zanetti e Tommasi. Una volta Daniele ha detto che la realtà ha superato i sogni: è diventato campione del Mondo con un rigore calciato in finale quando aveva fatto, contro gli Stati Uniti nel girone, «una cazzata gigantesca», è diventato capitano e bandiera della sua amata Roma, ha giocato alla Bombonera da giocatore del Boca, che era un po’ la ciliegina sulla torta. Ha vinto con l’amore di una vita due Coppe Italia e una Supercoppa: tanto, ma forse poco per uno che ha indossato 616 volte la maglia della Roma. Gli è mancato il grande acuto: lo scudetto sfiorato, la finale di Champions League pure, l’Europa League idem. Ci riproverà da allenatore ed è giusto così: perché quel ragazzino che a 18 anni ha esordito in Champions e a neppure 20 in campionato oggi è un uomo che ha lottato, è caduto, si è rialzato e ha saputo scegliere. Si è fatto da parte quando era il momento, si è fatto trovare pronto quando la Roma lo ha chiamato. Il bambino di Ostia ha lasciato spazio al quarantenn­e che vive guardando Castel Sant’Angelo, la promessa del vivaio che sperava «almeno di giocare una partita all’Olimpico» siede in panchina in quello stesso stadio e continuerà a farlo ancora lungo. Lo aveva detto lui stesso, nella lettera scritta poco prima dell’ultima partita da calciatore: «Arrivederc­i». Non addio. Perché le parole hanno un peso e De Rossi lo sapeva già: «Quando sarà, saremo». Adesso, finalmente, è.

Arriva a Trigoria alle 7 e va via la sera Maniaco del calcio e dei particolar­i

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GETTY De Rossi al Boca Juniors
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