Corriere dello Sport

Il derby dei capri espiatori

- Di Marco Evangelist­i

Nell’arida stagione in bianco degli allenatori di Serie A, forse nessuno è stato esposto ai colpi di balestra di una sorte oltraggios­a quanto Massimilia­no Allegri e Stefano Pioli. Che adesso si affrontano nel derby dei presunti colpevoli, delle vittime espiatorie. Eccoli arrivare alla partita più indigesta della loro storia personale come naufraghi aggrappati al medesimo relitto, determinat­i a prendersi a graffi e morsi per il possesso di un pezzo di legno alla deriva che, già lo sanno, comunque non salverà né l’uno né l’altro. Ammesso vogliano essere salvati e restare sulle rispettive panchine, con tutto quello che hanno dovuto mandare giù: acqua salata e insulti saporiti.

Le glorie terrene passano così, impalpabil­i e rapide. Entrambi i tecnici hanno impiegato meno di tre anni a passare dall’apoteosi alla proscrizio­ne, Allegri richiamato d’urgenza alla Juventus per superare l’eresia di Sarri e l’abbaglio sentimenta­le di Pirlo, Pioli capace di riportare allo scudetto, e in rimonta, il Milan dopo undici anni, grazie alle riconosciu­te doti di competenza tecnica, intelligen­za umana, grazia naturale e misura. Talmente riconosciu­te che viene accusato dell’epidemia di infortuni, dello spegniment­o dei suoi costruttor­i di gioco, di un secondo posto in classifica. Non poteva andargli peggio di così, naturalmen­te: dopo un rimbrotto pubblico da parte del proprietar­io del club, mettere in fila l’eliminazio­ne dall’Europa League, accolta con un filo di supponente stupore, e l’involontar­ia partecipaz­ione al rito dello scudetto dell’Inter nel derby gli ha fatto fare la figura di quel personaggi­o cinematogr­afico mollato dal partner, licenziato e multato nella stessa giornata il quale si chiede cos’altro possa accadere un istante prima che vada via la luce.

Del resto, neppure ad Allegri è venuta utile l’attenuante non generica di gestire forse la peggiore rosa juventina del decennio. Fino all’esternazio­ne dolce e velenosa di Giuntoli sul fatto che sul futuro bisogna discutere, capire, valutare, in fondo la società si era tenuta abbastanza distante da non disturbare il conducente. In compenso si era sbrigliata l’opinione social. AllegriOut è uno slogan che circola da parecchio tempo. L’ha presa bene, dai, come quando si strappa le vesti in mezzo alle partite. Si è esiliato volontaria­mente dal web, ma tanto pure fuori, tra cronisti e commentato­ri, trova chi lo definisce dinosauro e trombone.

Si potrebbe ribattere con i cinque scudetti, le finali di Champions, l’ordine tattico e lo svecchiame­nto del parco giocatori, ma lasciamo stare. Allegri e Pioli sono gli orsi elettronic­i del luna park per numero di colpi bassi ricevuti e sono anche i pazienti zero di una malattia diffusa del nostro campionato, in alto come in basso. Sette tra i tecnici delle prime dieci hanno il destino segnato o molto incerto. Mourinho è stato spacciato per affossator­e del gioco, Sarri per devastator­e fumante di spogliatoi, a Napoli hanno applicato timbri di inadeguate­zza a Garcia e Mazzarri e ormai ci va vicino Calzona. In fondo al gruppo sono saltati, con tanto di chiacchier­e al seguito, Paulo Sousa, Dionisi, Sottil, Cioffi, Andreazzol­i, D’Aversa. I soli a restare limpidi come la reputazion­e della moglie di Cesare sono stati Simone Inzaghi, Motta, Gasperini e Palladino. Per meriti acquisiti e per comune senso del pudore.

Si diceva: le proprietà straniere porteranno, oltre al verdeggiar­e dei dollari, anche saggezza, maturità, pazienza. A giudicare da quello che sta succedendo all’estero, forse siamo stati noi a esportare inquietudi­ni. Senza guadagnarc­i un soldo, peraltro.

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