Terna di donne è la prima in A
Ferrieri Caputi, Di Monte e Trasciatti pronte per Inter-Torino di domenica
Dopo tutto, sta già scritto in natura: è la terna arbitrale, non il terno (anche se certi arbitraggi sono effettivamente un terno al lotto). La grammatica comunque non lascia spazio a equivoci: la direzione di gara, la terna arbitrale, tutto femminile.
Save the date: domenica alle 12,30, San Siro, party-partita Inter-Torino, è gradito l’abito scuro, seguirà cocktail, l’Italia farà un altro passo nel lungo viaggio che porta dalla teoria alla pratica. All’ora in cui certi illuminati le vorrebbero a curare lo stufato, per la prima volta nella storia della serie A saranno tre donne a fare giustizia in campo: Maria Sole Ferrieri Caputi assistita dalle guardalinee (sempre che oggigiorno il termine non suoni offensivo) Francesca Di Monte e Tiziana Trasciatti.
A piccoli passi si compiono grandi distanze, diceva quello. In uno slancio di roboante celebrazione, questo passo della prima terna rosa (sempre che oggigiorno il colore non suoni offensivo) smuove subito le idee e i ricordi più alti delle conquiste più difficili: sfilano nell’immaginazione le Suffragette che si battevano per i diritti delle donne, certo sfila Paola Cortellesi con il suo film culto sul primo voto delle nostre madri e delle nostre nonne (era poi il ‘46, nemmeno 70 anni fa), e senza viaggiare così elevati viene in mente il giorno in cui anche le calciatrici sono diventate professioniste.
Tuttavia: sempre salita, sempre salita. Le nostre donne sono tutte un po’ Pantani, si sono inventate sempre Pantani per conquistarsi qualche metro nella vita. Restando nel calcio, ancora risuona nelle orecchie la Pavone che canta perchè perchè la domenica mi lasci sempre sola, per andare a vedere la partita, eccetepararsi: ra eccetera, lui allo stadio e lei a casa, sola, afflitta, inconsolabile, guardale adesso le nostre tifose in tribuna se c’entrano qualcosa con la Pavone, e non sono passate due o tre ere geologiche.
A forza di dai e dai, le malinconie sono dissolte nell’universo. Ormai, il calcio si presenta sempre più effeminato, in senso buono. Nel giro di pochi anni abbiamo registrato accelerazioni forsennate, col calcio femminile sempre più praticato e il tifo sempre più donna. Sessualmente parlando, il calcio fatica a definire compiutamente il suo genere. Non siamo ancora al transgender, ma siamo decisamente nel fluido.
Eppure non si può dire che le donne siano arrivate al traguardo vero. La stessa terna che entra nella storia non ci entra dal portone principale: ci arriva con tanta gradualità e tanta prudenza, prima (2022) Frosinone-Ternana in serie B, poi (2023) una partita di Coppa Italia (Napoli-Cremonese). Ora la serie A, a pieno titolo, in tutto e per tutto. Ma resta un ma, evidente e inevitabile. Diciamolo senza mascherate ipocrite: dato il clima, Inter-Toro ha più i connotati di una sagra del cotechino. In una scala da uno a dieci, tensione e pressione meno due. Preattesa la veemente presa di posizione femminista, cosa sarebbe questo gesto, tutta propaganda, paternalistica concessione del maschio dominante, è comunque una designazione sessista, è la chiara umiliazione delle capacità e del valore delle donne, considerate buone solo per partite semi-finte (a seguire, gli schiamazzi dei club che se le vedranno designare le prossime volte, chi siamo noi, squadre minorate, da meritarci le tre dame?). Più il resto nei talk-show culturali.
La verità è che non sembra ancora vicinissimo il punto in cui la terna donna non sarà una notizia. O addirittura farà notizia una terna tutta maschia. Quando cioè nessuno ci farà più caso, quando io non dovrò più scrivere articoli così. E più che altro quando alla terna femmina non sarà affidato il raduno eno-gastronomico di San Siro, ma magari un Roma-Lazio decisivo per lo scudetto (sì, va bene, ho usato l’esempio sbagliato: per questo, hanno tutta l’aria di dover aspettare anche gli arbitri maschi). Intendo dire che quanto meno nel calcio non siamo ancora all’ultimo miglio di una vera, normalissima, scontata parità. Riconosciamolo: non è che non siano pronte loro, non siamo pronti noi.