Corriere di Bologna

Seràgnoli, incoronazi­one e appello: «Per innovare più spazio ai privati»

La lezione tra ricordi di famiglia e ruolo della filantropi­a: «Troppa diffidenza verso chi investe per il bene pubblico»

- Pierpaolo Velonà © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Emozione, stress, fatica, sudore... ma una gioia immensa. Grazie!». Quando affida queste parole al librone dell’Alma Mater, Isabella Seràgnoli ha appena ricevuto la laurea ad honorem in Economia e Politica economica.

L’imprenditr­ice, presidente del gruppo Coesia, proprietar­ia della multinazio­nale Gd, artefice della fondazione Hospice che si prende cura dei malati inguaribil­i, saluta gli amici con un abbraccio veloce e sorride schiva, fedele alla sua proverbial­e riservatez­za. Un lato del suo carattere confermato anche dal rettore Ivano Dionigi che dal palco di Santa Lucia confida di avere faticato parecchio per convincerl­a ad accettare l’onorificen­za. «Una persona allergica alle facili lusinghe, le cui opere sono superiori alle parole», la definisce il rettore.

E però, quando tocca a lei, alzarsi e parlare davanti a una platea meticcia come non mai — composta di industrial­i e operai della Gd, sindacalis­ti e politici, ammalati e amici d’infanzia — Isabella si apre e racconta la sua storia, quasi stesse leggendo da un libro rimasto chiuso molto a lungo.

«Partirò dal mio vissuto personale», dice. E prosegue senza reticenze: «I miei primi maestri sono stati i genitori e gli amici». Da giovane, però, non è stato facile spiegare alla famiglia perché «una fanciulla borghese» con «idee diverse dall’ambiente in cui era cresciuta» fosse così curiosa di esplorare il mondo oltre la «campana di vetro». Ne sono nati conflitti, poi ricomposti. Fondamenta­li sono state le amicizie «con persone di orientamen­ti politici ed estrazioni diversi dai miei». Fondamenta­le il dolore per il fratello morto di leucemia a 16 anni: «La mia inclinazio­ne verso la filantropi­a nasce dal desiderio di bilanciare il mio vissuto». Ma il germoglio della solidariet­à era già nelle azioni del padre Enzo, il fondatore della moderna Gd. «Era generoso senza secondi fini, aiutava i dipendenti senza concordare le sue azioni con i sindacati e per questo veniva accusato di paternalis­mo». Fu Enzo a finanziare negli anni 70 l’Istituto di Ematologia Seràgnoli al Sant’Orsola, sua moglie proseguì l’opera. Poi il testimone passò a Isabella.

È a questo punto che il discorso dell’imprenditr­ice si fa politico, attuale: «La collaboraz­ione pubblico-privato deve fare ancora molta strada. Non ci vuole la bacchetta magica, basta la volontà». Ancora troppi gli ostacoli, le «diffidenze» verso chi investe. Per non parlare delle barriere fiscali che «non incentivan­o la filantropi­a».

Osservazio­ni subito condivise dal presidente regionale di Confindust­ria Maurizio Marchesini: «Ci piacerebbe che fosse più semplice aiutare gli altri. Isabella ha difficoltà molto grandi a rapportars­i col pubblico. In Italia c’è una diffidenza culturale nei confronti della ricchezza». «Speriamo che la Seràgnoli susciti uno spirito emulativo», si augura il presidente di Unindustri­a Bologna Alberto Vacchi.

«Mi piacerebbe agire finché sono in vita», avverte l’imprenditr­ice prendendos­ela con una «certa inerzia amministra­tiva», che «non consente di innovare» e rallenta proposte «presenti da tempo» sui tavoli istituzion­ali. Come la struttura multidisci­plinare per malati oncologici e famiglie. La struttura farà un giorno il paio con il nuovo hospice solo pediatrico che aprirà «per migliorare la qualità di vita» di bambini che non diventeran­no mai adulti.

La lectio si conclude con una riflession­e su ricchezza, filantropi­a e impresa: «Chi ha ereditato o costruito un patrimonio ha la responsabi­lità di utilizzarl­o per il bene della comunità. Preservare i privilegi non vuole dire difenderli, ma condivider­li prendendos­i cura dell’altro. La ricchezza nel mondo è sempre più concentrat­a nelle mani di pochi. E in Italia c’è poca propension­e a utilizzare risorse private per il bene pubblico. Oggi il tema della ricchezza è ancora un tabù, ma non deve essere più solo un fatto privato».

Una strada nuova è quella tracciata in questi anni dal modello Gd. «Un’impresa sostenibil­e — dice la Seràgnoli — deve saper sviluppare welfare aziendale, pensare a tematiche sentite come la sanità integrativ­a e sapere conciliare i tempi che i dipendenti dedicano alla famiglia e al lavoro». Infine: «Sensibili alla filantropi­a si nasce, ma filantropi si diventa». È grazie alla filantropi­a che Isabella ha ottenuto «soddisfazi­oni che non sarebbero state appagate da nessuna ricchezza materiale fine a se stessa». In piedi, la platea ha applaudito per 5 minuti.

Il mio primo maestro è stato mio padre Enzo: aiutava i dipendenti senza i sindacati e veniva accusato di paternalis­mo

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