Seràgnoli, incoronazione e appello: «Per innovare più spazio ai privati»
La lezione tra ricordi di famiglia e ruolo della filantropia: «Troppa diffidenza verso chi investe per il bene pubblico»
«Emozione, stress, fatica, sudore... ma una gioia immensa. Grazie!». Quando affida queste parole al librone dell’Alma Mater, Isabella Seràgnoli ha appena ricevuto la laurea ad honorem in Economia e Politica economica.
L’imprenditrice, presidente del gruppo Coesia, proprietaria della multinazionale Gd, artefice della fondazione Hospice che si prende cura dei malati inguaribili, saluta gli amici con un abbraccio veloce e sorride schiva, fedele alla sua proverbiale riservatezza. Un lato del suo carattere confermato anche dal rettore Ivano Dionigi che dal palco di Santa Lucia confida di avere faticato parecchio per convincerla ad accettare l’onorificenza. «Una persona allergica alle facili lusinghe, le cui opere sono superiori alle parole», la definisce il rettore.
E però, quando tocca a lei, alzarsi e parlare davanti a una platea meticcia come non mai — composta di industriali e operai della Gd, sindacalisti e politici, ammalati e amici d’infanzia — Isabella si apre e racconta la sua storia, quasi stesse leggendo da un libro rimasto chiuso molto a lungo.
«Partirò dal mio vissuto personale», dice. E prosegue senza reticenze: «I miei primi maestri sono stati i genitori e gli amici». Da giovane, però, non è stato facile spiegare alla famiglia perché «una fanciulla borghese» con «idee diverse dall’ambiente in cui era cresciuta» fosse così curiosa di esplorare il mondo oltre la «campana di vetro». Ne sono nati conflitti, poi ricomposti. Fondamentali sono state le amicizie «con persone di orientamenti politici ed estrazioni diversi dai miei». Fondamentale il dolore per il fratello morto di leucemia a 16 anni: «La mia inclinazione verso la filantropia nasce dal desiderio di bilanciare il mio vissuto». Ma il germoglio della solidarietà era già nelle azioni del padre Enzo, il fondatore della moderna Gd. «Era generoso senza secondi fini, aiutava i dipendenti senza concordare le sue azioni con i sindacati e per questo veniva accusato di paternalismo». Fu Enzo a finanziare negli anni 70 l’Istituto di Ematologia Seràgnoli al Sant’Orsola, sua moglie proseguì l’opera. Poi il testimone passò a Isabella.
È a questo punto che il discorso dell’imprenditrice si fa politico, attuale: «La collaborazione pubblico-privato deve fare ancora molta strada. Non ci vuole la bacchetta magica, basta la volontà». Ancora troppi gli ostacoli, le «diffidenze» verso chi investe. Per non parlare delle barriere fiscali che «non incentivano la filantropia».
Osservazioni subito condivise dal presidente regionale di Confindustria Maurizio Marchesini: «Ci piacerebbe che fosse più semplice aiutare gli altri. Isabella ha difficoltà molto grandi a rapportarsi col pubblico. In Italia c’è una diffidenza culturale nei confronti della ricchezza». «Speriamo che la Seràgnoli susciti uno spirito emulativo», si augura il presidente di Unindustria Bologna Alberto Vacchi.
«Mi piacerebbe agire finché sono in vita», avverte l’imprenditrice prendendosela con una «certa inerzia amministrativa», che «non consente di innovare» e rallenta proposte «presenti da tempo» sui tavoli istituzionali. Come la struttura multidisciplinare per malati oncologici e famiglie. La struttura farà un giorno il paio con il nuovo hospice solo pediatrico che aprirà «per migliorare la qualità di vita» di bambini che non diventeranno mai adulti.
La lectio si conclude con una riflessione su ricchezza, filantropia e impresa: «Chi ha ereditato o costruito un patrimonio ha la responsabilità di utilizzarlo per il bene della comunità. Preservare i privilegi non vuole dire difenderli, ma condividerli prendendosi cura dell’altro. La ricchezza nel mondo è sempre più concentrata nelle mani di pochi. E in Italia c’è poca propensione a utilizzare risorse private per il bene pubblico. Oggi il tema della ricchezza è ancora un tabù, ma non deve essere più solo un fatto privato».
Una strada nuova è quella tracciata in questi anni dal modello Gd. «Un’impresa sostenibile — dice la Seràgnoli — deve saper sviluppare welfare aziendale, pensare a tematiche sentite come la sanità integrativa e sapere conciliare i tempi che i dipendenti dedicano alla famiglia e al lavoro». Infine: «Sensibili alla filantropia si nasce, ma filantropi si diventa». È grazie alla filantropia che Isabella ha ottenuto «soddisfazioni che non sarebbero state appagate da nessuna ricchezza materiale fine a se stessa». In piedi, la platea ha applaudito per 5 minuti.
Il mio primo maestro è stato mio padre Enzo: aiutava i dipendenti senza i sindacati e veniva accusato di paternalismo