Quei 14 minuti di Aloi che sbarcano in Laguna Il regista bolognese presenterà «E.T.E.R.N.I.T.». Con la partecipazione di Serena Grandi
Ci tiene a precisare che non si tratta di un docufilm, anche se E.T.E.R.N.I.T. di Giovanni Aloi è un film che sembra voler sfuggire a facili catalogazioni. Se non a quella temporale, visto che i suoi 14 minuti, produzione francese con sostegno della Cineteca di Bologna, l’hanno fatto inserire nella sezione Orizzonti Cortometraggi dell’ormai prossima Mostra di Venezia. In Laguna verrà proiettato il 3 settembre alle 14 al Palabiennale e replicato il 10 settembre alle 14,30 nella Sala Casinò. Una bella rivincita per il trentunenne bolognese, studi al Dams e a Parigi, già autore de La promessa e Pan Play Decadence, che l’anno scorso aveva patito la dolorosa esclusione di un altro suo corto, A passo d’uomo, dal Festival di Cannes, dove pure era stato selezionato, perché già presentato prima in un altro festival. Se il titolo rimanda all’amianto, creato dall’uomo e poi bandito dallo stesso per la sua alta tossicità, il protagonista del film si chiama Alì, operaio tunisino specializzato in bonifiche, con moglie e figlia in Tunisia in attesa dei documenti per il ricongiungimento. «Il padre del produttore Davide Caselli — racconta Aloi — si occupa di bonifiche e all’inizio l’idea era di realizzare un lavoro su questa realtà. Così siamo andati nella zona di Sassuolo, dove ci sono molti edifici da bonificare, e abbiamo iniziato a intervistare degli operai a camera spenta. A un certo punto, però, mi sono reso conto che l’amianto è sempre associato alla morte e io invece volevo raccontare una storia di vita». Così nel film è entrata anche Serena Grandi, l’ex sexsymbol rilanciata dalla sua partecipazione ne La grande bellezza. «In realtà — continua Aloi — cercavo un’attrice, in un film dove sono tutti non professionisti, che esprimesse una forte corporeità. In grado di sovrastare il protagonista, che è esile, anche se forte psicologicamente». Il corto, scritto da Aloi con Nicolò Galbiati, è anche un’occasione per capire davvero come sono fatti i tetti in amianto e ha richiesto una lunga preparazione sul campo. «È una commistione — conclude il regista — tra pura ripresa del reale e drammatizzazioni estremamente crude. Il cantiere non è stato ricostruito, abbiamo filmato, con difficoltà tecniche e rischi per la troupe, la bonifica di un’industria reale. A proposito di immigrati, invece, in una scena c’è un altro personaggio, Omar, che si stupisce del fatto che da un po’ anche gli Italiani abbiano iniziato a chiamarlo per le bonifiche». (P. D. D.)