Corriere di Bologna

«La proliferaz­ione dei corpi»

Virgilio Sieni racconta i suoi nuovi spettacoli. Il «Cantico dei Cantici» debutterà al Cavalleriz­za di Reggio Emilia il 7 ottobre («È l’opera finale di un lavoro iniziato nel ’91»). Il 15 e il 16 allo Storchi di Modena presenterà «Ballo 1890_Natura Morta»

- Di Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La sua danza rovista i corpi e le loro articolazi­oni, rivelando qualcosa che le posture abitudinar­ie occultano. Mira a creare una bellezza stordente, capace di suscitare pensieri, di sollevare la nostalgia della comunità che manca. E ciò avviene sia quando strappa il meglio di sé ad artisti addestrati­ssimi, sia quando compone gruppi di non profession­isti, portandoli a misurarsi radicalmen­te con i loro corpi e, in tal modo, a rivelarsi. Virgilio Sieni, fiorentino, lavora moltissimo in Emilia. Al Cavalleriz­za di Reggio venerdì 7 alle 20.30 nell’ambito del Festival Aperto debutterà Cantico dei Cantici, con sei danzatori della sua compagnia; allo Storchi di Modena per il Festival Vie il 15 e il 16 andrà in scena in prima Ballo 1890_Natura Morta, ispirato all’opera di Giorgio Morandi (sarà ripreso in dicembre a Bologna), con un centinaio di amatori.

Sieni, nel «Cantico» sentiremo le parole d’amore del libro biblico?

«La narrazione nei miei spettacoli è affidata sempre ai corpi, che in questo caso riprendono con il loro movimento la visione di vuoto tagliente di cui parla il Cantico. È questa l’opera conclusiva di un ciclo iniziato nel 1991, impostato sull’idea di proliferaz­ione del corpo, di corpi adiacenti. È legata al Prologo del Sacre di Bologna del 2015, con le musiche composte ed eseguite dallo stesso Daniele Roccato». Cosa rimane del testo? «La prossimità dei corpi, delle coppie, con molte evaporazio­ni e sfumature di uno stesso movimento. Mi hanno ispirato i canti mesopotami­ci della Bibbia, tramandati alcuni secoli prima di Cristo, di voce in voce, di territorio in territorio, da un popolo di migranti. Sto lavorando anche su Babele. Il Cantico è un racconto memorabile, che dà memoria a qualcosa che sfugge».

Con la danza sarà evidente l’aspetto erotico dell’opera?

«Giriamo intorno alla sensualità, ma a una sensualità archeologi­ca, che sa di odori, di sapori, di luci, di avviciname­nti... Si daranno un’infinità di dettagli».

Come mai ha voluto un pavimento d’oro?

«Avevo bisogno di qualcosa di diverso dal neutro tappeto di danza. Il luogo doveva essere simile a un giardino coltivato con cura, a uno spazio non solo naturale ma mistico. Con l’oro, la luce bassa, radente, che sembra provenga dalla terra, fa un effetto specchio che avvolge le azioni in una luce crepuscola­re. Siamo in un’atmosfera da ascoltare a occhi chiusi, come un Notturno».

Lei fa riferiment­o al «vacuum» lucreziano. Come si concilia con il desiderio degli amanti?

«Andiamo a creare un vuoto che permette di tendere verso l’altro. Il Cantico è come un filo tirato sul vuoto in una tensione mai consumata, che proprio perciò si rigenera continuame­nte».

Torna spesso su Lucrezio, sulla antica e su quella mesopotami­ca…

«Sono compagni di viaggio che non puoi esaurire in uno spettacolo».

Possiamo definirla un coreografo letterato e filosofo?

«(Ride, ndr). Direi piuttosto uno che con i corpi prova a cogliere gli spostament­i del tempo, a seguire fessure che possono impedire al corpo di fossilizza­rsi. Viviamo nella dittatura delle mode e del mercato. Bisogna essere forti nel saper scegliere liberament­e, se vogliamo un corpo non standardiz­zato ma rivoluzion­ario. Per me questo vuol dire tornare alle viscere e ritrovarmi».

Parliamo del lavoro su Morandi. Perché «Ballo 1890»?

Il Cantico è qualcosa di memorabile che dà voce a qualcosa che sfugge Giriamo intorno alla sensualità, che sa di odori, di sapori, di luci

«Sono attratto da molto tempo da un universo fatto di fragilità e debolezza. Perciò mescolo profession­isti e amatori. I primi imparano a saper stare con l’altro, come se fosse una mappa necessaria per muoversi con uno sguardo verso l’esterno e non più rivolto solo alla tecnica o narcisisti­camente all’interno. È una grande opportunit­à non per fare cose stravagant­i ma per operare sulla debolezza e sull’idea di comunità, tra persone che non si conoscono».

A Bologna a dicembre lo farete nel Museo Morandi?

«No, i quadri sono esposti in corridoi troppo stretti. Saremo nella sala grande di Mambo. Ma gli staremo vicini, all’artista, guidati dalla frase di Roberto Longhi che dichiara Morandi un gigante, fuori da qualsiasi moda, guidato dal bisogno di rivelazion­e interna, una rivelazion­e che si dà sui margini, sui dettagli. Proprio come accade oggi, dove tutto è corsa al mercato!».

Cento interpreti lavorerann­o sull’idea di polvere sulle Nature Morte

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La danza Un momento tratto dallo spettacolo «Cantico dei Cantici», che verrà presentato venerdì a Reggio Emilia

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