Corriere di Bologna

Dodici quesiti in vent’anni Tutte le scelte dei bolognesi

- Persichell­a

Una dozzina in vent’anni. Fanno in tutto dodici i referendum per i bolognesi dal ’97 ad oggi. Uno in più degli altri, quello consultivo e tutto cittadino del 2013 sui fondi alle scuole private paritarie. Che un po’ ricorda quello odierno, ma solo per il clima anche allora acceso tra le opposte fazioni.

In realtà, per provare a capire come potrebbero comportars­i i bolognesi oggi, sono altri i quesiti che vanno tenuti d’occhio. I due referendum costituzio­nali del 2001 e del 2006. Anche dieci anni fa l’oggetto del contendere era l’assetto istituzion­ale del Paese, che il secondo governo Berlusconi aveva provato a modificare prevedendo un Senato federale da 252 eletti (invece che 315), un Capo dello Stato non più in grado di nominare il premier e sciogliere il governo, e un presidente del Consiglio che poteva nominare e revocare i ministri, dirigere la loro politica e non solo promuoverl­a e coordinarl­a. Andò che il 61,3% degli italiani bocciò quel tentativo, con un’affluenza del 52,5%. A Bologna, con un centrosini­stra compatto (e a quei tempi non esisteva ancora il M5S), il No fu ancor più netto, pari al 70%. Tanti anche i votanti, poco più di 200 mila, il 65,73% degli aventi diritto. Furono di meno, invece, quelli che in città approvaron­o la riforma dei governi di centrosini­stra che modificò in senso federalist­a i rapporti tra Stato e Regioni (rimessi ora in discussion­e). Il 7 ottobre del 2001 (al governo Berlusconi) i bolognesi al voto furono 168 mila, pari al 51,08%, comunque ben superiore alla media nazionale del 34%.

Ecco, fino a due anni fa chiunque avesse voluto fare delle previsioni sull’affluenza di oggi avrebbe dovuto tenere conto dei 200 mila votanti del 2006 e dei 168 mila del 2001. Ma tutto è cambiato con le regionali del 2014 e quel misero 37% di partecipaz­ione. Un crollo che complica oggi qualsiasi tipo di pronostico. Meglio non azzardare, anche se è pur vero che negli ultimi vent’anni l’affluenza bolognese ai referendum è sempre stata ben al di sopra della media, pure quando la risposta a tutti i livelli, sia locali che nazionali, si è rivelata un vero e proprio flop. Nel 2003, ad esempio, solo un bolognese su tre votò il quesito sull’articolo 18 proposto da Rifondazio­ne Comunista (e ancor meno, il 25%, nel resto d’Italia). Altre volte Bologna ha raggiunto il quorum seppure inutilment­e. È successo nel 1999 per l’abolizione alla Camera del voto di lista per l’attribuzio­ne con metodo proporzion­ale del 25% dei seggi promosso da Mario Segni e Antonio Di Pietro. In città gli elettori andarono a votare in modo massiccio (il 63,48%), ma alla fine anche se per un soffio (49,6%) il quesito non passò. Molto sentito, qui più che altrove, è stato un altro referendum, quello del giugno del 2005 promosso dai Radicali per abolire il divieto di fecondazio­ne eterologa. Non se ne fece nulla, a livello nazionale votò solo un quarto degli italiani. I bolognesi invece in quella campagna referendar­ia si scaldarono molto e alla fine quasi uno su due si presentò ai seggi per l’abolizione. In realtà, l’unico referendum abrogativo passato dal 1997 ad oggi è stato quello per l’acqua del 2011 (affluenza sempre molto alta in città, attorno al 64%). Mentre per l’ultimo sulle trivelle, sostenuto da una parte della sinistra ma non dal Pd, ha votato solo il 36%, pari a 105 mila bolognesi.

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