I segreti di Twin Peaks
Oggi al Kinodrono una maratona con la proiezione di tutta la prima serie firmata da David Lynch. Il nostro critico spiega le ragioni del grande successo
Si riparla molto di Twin Peaks in questi mesi. I motivi non sono puramente oziosi. Nel 2017 si vedrà infatti l’attesa nuova stagione della serie televisiva più rivoluzionaria di sempre, grazie all’impegno di David Lynch, che ha mantenuto la promessa contenuta in un dialogo di un episodio: tornare dopo 25 anni. Ecco perché molti cinefili e appassionati stanno cercando di recuperare rapidamente le due stagioni classiche, ed ecco perché al Loft del Kinodromo oggi pomeriggio — dalle 15 — partirà la proiezione di tutta la prima stagione, accompagnata dalla torta alle mele e dal caffè nero tanto amati dal protagonista, Agente Cooper.
La modalità di visione del telefilm (allora li chiamavamo ancora così), per quanto basata su nostalgia e stima per l’autore, è però adeguata al consumo contemporaneo, dove sta diventando sempre più raro che gli spettatori fruiscano delle serie rispettando le attese imposte dal palinsesto, preferendo piuttosto il cosiddetto binge watching (guardare un blocco di episodi, se non un’intera stagione della serie preferita, senza interruzioni). Non solo: non è nemmeno detto che sia il televisore il luogo deputato alla visione, considerato che — nell’era chiamata, un po’ eccessivamente, post-mediale — molti vedono i prodotti audiovisivi sul computer, sul tablet o persino sullo smartphone. Quando Twin Peaks fu proposto, in America e poi in Italia, si ragionava ancora alla vecchia maniera, non esisteva (o quasi) Internet e nessuno immaginava servizi di streaming online dai quali scaricarsi il contenuto preferito in qualsiasi momento. Eppure, il capolavoro ideato da Lynch per il piccolo schermo era tutt’altro che classico, e anzi lasciava a bocca aperta chi pensava che il telefilm fosse un luogo di conservazione e ripetizione, contrario alla sperimentazione del grande schermo. Grazie a Lynch, la serialità televisiva cambiava passo, accedendo a contenuti adulti e inquietanti, spiazzando le attese dei telespettatori, imponendo una trama a dir poco intricata. Da quel momento, la narrazione catodica non è più stata la stessa, e i vari X-Files e E.R. hanno a loro volta sconvolto la grammatica audiovisiva. La vera età dell’oro della televisione contemporanea nasce più avanti, grazie al canale via cavo HBO e al suo spirito di innovazione radicale, battezzato da I Soprano, forse l’enciclopedia di cultura popolare più completa e straordinaria di sempre.
Il big bang porta con sé nuovi canali, nuovi prodotti, e soprattutto nuove teste, a dimostrazione di come la concorrenza — nel campo delle industrie culturali, almeno — sia sempre positiva. A Lynch devono molto le serie di stampo noir e fantastico, a cominciare da Lost, che negli anni Duemila fu la prima a stimolare un’altra novità importante per lo scenario sociale: il fandom, ovvero comunità di appassionati che, grazie al web, non si limitano a lodare il proprio cult, ma costruiscono ulteriori contenuti, appropriandosi di riti e miti della serie e costruendo piccoli prodotti editoriali dedicati (blog, meme, parodie, spin off, mash up e così via). Il cinema comincia ad arrancare, e le serie televisive non fanno che saccheggiarne l’immaginario. Per di più, invece che copiare male il grande schermo, dimostrano di offrire prototipi assai più raffinati di quelli che passa il convento della prima visione, grazie a un livello di scrittura che uno sceneggiatore italiano ha definito «mostruoso» (scuotendo la testa per l’invidia) e a budget finalmente adeguati al bisogno. Pensiamo a ciò che sono stati The Walking Dead per l’horror, Game of Thrones per il fantasy, Breaking Bad per il gangster, True Detective per il noir, House of Cards per la fantapolitica.
Giudicare le serie televisive con gli occhiali della critica cinematografica, però, sarebbe sbagliato. Infatti, la narrazione televisiva ha le sue estetiche. La durata, per esempio, è essenziale, lo svolgimento nel tempo e nello spazio necessita di un lungo arco di analisi per poter essere compresa e apprezzata, e del resto proprio questa dimensione potenzialmente infinita rappresenta un elemento attrattivo per il pubblico. Per il prossimo James Bond devo aspettare tre anni, per la prossima stagione di Homeland al massimo quattro o cinque mesi, e quando poi sarà davanti ai miei occhi, ne avrò per molte settimane. Anche in Italia le cose si stanno muovendo, e se le serie Sky (da Romanzo criminale a Gomorra) hanno già conquistato tutti, persino il pachiderma RAI sta scoprendo il piacere della serializzazione atipica, come nel caso di La mafia uccide solo d’estate. Non sarà imprevedibile come The Young Pope ma è un inizio.