RINNOVAMENTO O SOLO RICAMBIO?
Per i mortali, il mondo accademico è un mondo alla rovescia. Dove quasi tutto succede in modo opposto alle altre professioni. Ad esempio, molti accademici fanno di tutto per ritardare, non per anticipare, il pensionamento. I pensionandi vengono generalmente compatiti, non invidiati, dai colleghi in servizio. Ogni direttore di dipartimento può raccontare innumerevoli storie su colleghi pensionati che provano pervicacemente a comportarsi come se nulla fosse. Nei piccoli atenei, il pensionamento è materia di sollievi (i colleghi sono sempre un po’ feroci) o tristezze individuali. Nel caso delle università elefantiache, la forza stessa dei numeri finisce per conferire un significato istituzionale. A Bologna, mentre uno studente concludeva la sua laurea triennale, sono andati via in più di 300. Durante la sua laurea magistrale lo faranno in più di 200. I pensionamenti falcidiano soprattutto i professori ordinari (una volta chiamati baroni, oggi assai più compatiti che temuti). Tra i pensionati ci saranno persone stanche, ma anche figure che svolgevano un ruolo importante in ateneo e nella loro comunità scientifica. Inevitabile che il loro ritiro sia accompagnato da qualche sospiro di sollievo ma anche da qualche preoccupazione. Il lato luminoso è che il loro pensionamento libera — pur secondo le infernali alchimie ministeriali — risorse che poi consentono di assumere nuovi colleghi. Fatto molto importante, in un mondo così scientificamente privato di risorse da far sì che l’appellativo «giovane» venga oggi abitualmente applicato a ultraquarantenni già piuttosto stempiati.
Le risorse generate dal loro pensionamento potrebbero essere quindi usate per rinnovare l’ateneo. Se ciò accadrà o meno, non dipende tuttavia dalle risorse, ma da come vengono usate. Il reclutare personale più giovane non implica minimamente che si tratti di rinnovamento. Se si assumono gli epigoni di coloro che hanno lasciato (o stanno lasciando), sarà inevitabile che si comportino da epigoni. Se si assume chi è stato pazientemente in fila per anni senza dire né «ai» né «bai», è difficile ritrovarsi con un ricercatore innovativo. Sarà rinnovamento o solo ricambio? Per saperlo, è sufficiente rispondere a tre domande: quanti dei nuovi assunti hanno fatto la propria carriera scientifica all’esterno dell’ateneo bolognese? Quanti hanno maturato esperienze scientifiche all’estero? Quanti non sono nati e cresciuti a Bologna? È la semplicità che è difficile a farsi.