Corriere di Bologna

Più impiegati che tute blu nelle fabbriche

Lo storico sorpasso riguarda le grandi aziende: con la crisi spariti 6.000 metalmecca­nici

- Riccardo Rimondi

Calano le tute blu, aumentano i colletti bianchi. Il rapporto nelle fabbriche è quasi alla pari, mentre in quelle di grandi dimensioni gli impiegati sono la maggioranz­a. È il ritratto che la Fiom fa dei cambiament­i radicali nel tessuto produttivo di riferiment­o, nel territorio in cui ha maggior forza: la provincia di Bologna.

E ora con la rivoluzion­e dell’industria 4.0, le tute blu della Cgil immaginano anche di ridurre in futuro anche l’orario di lavoro.

Calano le tute blu, aumentano i colletti bianchi. Il rapporto nelle fabbriche è quasi alla pari, mentre in quelle di grandi dimensioni gli impiegati sono la maggioranz­a. È il ritratto che la Fiom fa dei cambiament­i radicali nel tessuto produttivo di riferiment­o, nel territorio in cui ha maggior forza: la provincia di Bologna. Nell’area metropolit­ana, escluso il circondari­o imolese, i metalmecca­nici Cgil hanno almeno un iscritto in 1.582 aziende. Ci lavorano 49.868 addetti, 24.017 impiegati e 25.851 operai. Le tute blu sono ancora maggioranz­a (il 51,8%), ma la forbice si è ristretta di molto se si pensa che nel 2009 gli operai erano 31.716 (il 56%), contro 25.012 impiegati.

Sono spariti quasi 7.000 posti: «Ma la crisi non è stata uguale per tutti — nota il segretario provincial­e Michele Bulgarelli —. Si sono persi 1.000 posti di impiegati, 6.000 di operai». Nelle aziende più grandi i rapporti sono ribaltati e la maggioranz­a lavora in ufficio: su 14 realtà con oltre 300 dipendenti, su 12.000 addetti gli impiegati sono 7.500, mentre tra quelle con oltre 100 gli impiegati sono 14.400 su 24.400. Non è un tema secondario, per un sindacato che ha sempre fatto del radicament­o in fabbrica il suo punto di forza: «Sugli impiegati siamo storicamen­te meno forti — ammette Bulgarelli — ma oggi l’impiegato è diverso da quello di una volta. Ci sono degli spazi interessan­ti».

Cosa significhi, lo spiega il segretario regionale Bruno Papignani: «Oggi il lavoro dell’impiegato è parcellizz­ato, sfruttato, ci sono problemi nelle condizioni ambientali, nel lavoro e nel riconoscim­ento della profession­alità che lo rendono più simile all’operaio, mentre l’operaio è più simile all’impiegato». Insomma, due mondi in avviciname­nto e un sindacato che punta a rappresent­arli entrambi, anche confrontan­dosi con chi il tema lo conosce già: i tedeschi dell’Ig Metall lunedì saranno a Bologna per un convegno su contrattaz­ione e sindacaliz­zazione. Una dialogo che le due sigle puntano ad allargare, perché crescono le aziende a metà strada tra i due Paesi: solo in Emilia-Romagna, calcola l’Ires, ci sono 64 stabilimen­ti di aziende tedesche, mentre dieci imprese emiliane hanno stabilimen­ti in Germania. Non è l’unico punto di contatto tra le due sigle. Nei giorni scorsi l’Ig Metall ha chiesto di ridurre le ore di lavoro a 28, anche rinunciand­o ad aumenti. In Fiom, almeno sulla via Emilia, se ne parla: «Credo che dobbiamo porci l’obiettivo in dieci anni di arrivare a quattro giorni alla settimana», sostiene Papignani. La ragione è legata ai cambiament­i produttivi che stanno interessan­do le fabbriche: la digitalizz­azione guadagnano sempre più spazio e da più parti si prevede che, per la prima volta, una rivoluzion­e industrial­e porterà all’aumento della disoccupaz­ione. Per Papignani la rivoluzion­e tecnologic­a «potrà in futuro creare meno lavoro e ci sarà un aumento della produttivi­tà».

Quindi, la risposta dovrebbe essere quella di diminuire le ore: «La riduzione dell’orario è qualcosa che in prospettiv­a dobbiamo costruire come cultura e anche come esigenza per avere lavoratori che abbiano tempo per aggiornars­i». Il tutto senza rinunciare al livello di stipendio, «perché in Italia con i salari che ci sono non possiamo permetterc­elo».

Il giorno guadagnato dovrebbe servire a dare il tempo ai metalmecca­nici di aggiornars­i: «Se ci sono profession­alità nuove che vengono richieste io devo avere più tempo per stare al passo con la formazione e con la profession­alità che mi viene richiesta». Ma tempi non saranno brevi: « Se lo proponessi oggi sarebbe un’eresia — scuote la testa Papignani —. Bisogna far riemergere la cultura della riduzione dell’orario come necessità per poter mantenere la propria occupazion­e».

Il taglio delle ore Papigniani: «Dobbiamo porci l’obiettivo di arrivare a quattro giorni alla settimana»

Modello tedesco In Emilia 64 fabbriche di aziende tedesche Dieci imprese emiliani hanno fabbriche lì

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