L’allarme del Ramazzini sul glifosato
Lo studio dell’Istituto: nocive anche le piccole quantità. Martina: «Chiederò lo stop»
Anche in dosi minime il glifosato, il pesticida più usato al mondo, avrebbe gravi effetti sulla salute. A lanciare l’allarme è l’Istituto Ramazzini di Bologna: «È in grado di alterare parametri biologici di rilievo che potrebbero manifestarsi anche con patologie oncologiche». Il centro di ricerca ha inviato una lettera al ministro dell’agricoltura Martina, chiedendo un suo intervento in Europa. «No al rinnovo dell’autorizzazione europea del pesticida», la sua risposta.
«Il glifosato è in grado di alterare alcuni parametri biologici di rilievo, correlati allo sviluppo sessuale, alla genotossicità e all’alterazione della flora batterica intestinale. Effetti gravi che potrebbero manifestarsi anche con patologie oncologiche a lungo termine». È il campanello d’allarme lanciato da Fiorella Belpoggi, direttrice del Centro di ricerca sul cancro «Cesare Maltoni» dell’Istituto Ramazzini. Il glifosato — il principale pesticida utilizzato in agricoltura, il cui consumo mondiale è stimato in circa 825.000 tonnellate l’anno — anche a dosi minime avrebbe impatti devastanti per la salute.
A dirlo sono i primi risultati dello studio preliminare dell’Istituto che, «sebbene non chiarisca le incertezze relative alla cancerogenicità dell’erbicida, mette in evidenza effetti sulla salute altrettanto gravi». Glifosato e Roundup, il formulato che ne contiene il principio attivo e che viene utilizzato nei campi, sono stati testati sui topi entrambi con una sola dose, quella attualmente consentita negli Stati Uniti. Quello che i ricercatori hanno osservato è che anche a dosi ritenute sicure e per un periodo espositivo relativamente breve, circa 90 giorni (che equivale nell’uomo a un periodo di vita che va dalla nascita ai 18 anni), la sostanza è in grado di alterare alcuni parametri biologici di rilievo legati allo sviluppo sessuale, alla genotossicità e all’alterazione della flora batterica intestinale.
«Abbiamo notato come anche a dosi minime la presenza del glifosato nell’organismo possa provocare fenomeni di femminilizzazione nell’uomo, problemi di sterilità, mutazioni genetiche e dei cromosomi, alterazioni della flora batterica e del sistema immunitario», spiega Belpoggi. «Effetti sulla salute che si manifesterebbero nella prima fase evolutiva dell’uomo: nelle fasce di età neonatale, infantile e adolescenziale. E che hanno conseguenze importanti in termini di salute pubblica». I risultati della prima fase sperimentale, condotta nel 2016 insieme a una rete di partner tra cui l’Università di Bologna, sono parziali ma definitivi per i parametri osservati. «E per la prima volta sono studi condotti da un istituto indipendente», ci tiene a ribadire la dottoressa.
Sulla base delle allarmanti indicazioni il centro di ricerca è andato in pressing, inviando una lettera al ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. Oggetto della missiva l’incontro sul glifosato che si terrà giovedì in Commissione europea. L’Europa dovrà stabilire se rinnovare o meno per 10 anni la licenza comunitaria per l’uso della sostanza come pesticida. L’Istituto chiede al ministro «di intervenire dall’alto del suo ruolo per autorizzare l’uso del glifosato per non più di 5 anni», sulla scia di quanto ha già chiesto la Francia. In modo tale che l’autorizzazione arrivi a scadenza quando il Ramazzini avrà in mano i risultati definitivi dello studio a lungo termine e «potrà sciogliere le incertezze e le discussioni attorno al composto, oggi così importante per l’industria agricola».
Non si è fatta attendere la risposta di Martina, quasi anticipando la lettera del Ramazzini. Nella mattinata di ieri il ministro ha scritto su Twitter: «No al rinnovo dell’autorizzazione europea per il Glifosate» e ha fatto sapere in una nota di essere deciso nel condurre l’agricoltura italiana verso un percorso sostenibile. «Le evidenze scientifiche e ambientali che abbiamo ci devono portare a proporre questa scelta in ambito europeo», ha detto. «L’Italia deve confermarsi Paese leader nell’agricoltura sostenibile».
Martina Le evidenze scientifiche e ambientali ci devono portare a proporre questa scelta in ambito europeo