Esami al Cua, archiviazione Ma l’Ateneo è bacchettato
«La mancata verbalizzazione esclude il reato»
La Procura chiede l’archiviazione per i tre docenti dell’Alma Mater che permisero a studenti del Cua sospesi di sostenere l’esame, pur non verbalizzandolo. Ma al contempo bacchetta l’Ateneo, dicendogli di evitare situazioni simili.
Temevano contestazioni da parte dei collettivi e per evitare disagi agli altri studenti regolarmente iscritti hanno permesso a tre attivisti del Cua, sospesi dall’università perché coinvolti negli scontri per il caro mensa, di mettere in scena esami farsa a Giurisprudenza, Storia e Medicina nelle giornate del 14, 15 e 26 giugno. Non veri e propri esami collettivi, così come preteso dal Cua nell’ambito della campagna di protesta contro le sanzioni disciplinari con lo slogan «No alla doppia pena dell’Unibo», ma solo colloqui preliminari senza alcun valore.
La mancata verbalizzazione delle prove e l’assenza di dolo, cioè la consapevolezza dei docenti di dare un vantaggio indebito agli studenti sospesi, hanno indirizzato verso l’archiviazione l’inchiesta aperta d’iniziativa dal procuratore Giuseppe Amato che ipotizzava l’abuso d’ufficio nei confronti dei docenti Raffaele Laudani, Stefania Pellegrini e Martino Ardigò (che durante il colloqui lesse un comunicato di protesta affidatogli dal Cua). Il fascicolo partiva dall’assunto che quei colloqui, con tanto di megafoni e striscioni, avrebbero violato il principio di imparzialità della pubblica amministrazione consentendo agli studenti, in spregio al provvedimento di sospensione, di vincere il braccio di ferro con l’Ateneo e mandare all’esterno il messaggio di poter impunemente neutralizzare le sanzioni. Così facendo i docenti avrebbero provocato un danno d’immagine all’università.
Le indagini della Digos si sono basate sul carteggio tra i professori indagati e il rettorato, documentazione nella quale chiarivano i motivi del via libera ai colloqui. E cioè il timore che la situazione potesse degenerare e creare problemi agli altri studenti, oltre al fatto che non c’era stata verbalizzazione delle prove. Solo in un caso uno degli studenti sanzionati ha poi sostenuto l’esame ma ormai la sanzione era scaduta. La mancata verbalizzazione, si legge nella richiesta di archiviazione, «esclude il reato nella sua obiettività». C’è poi l’assenza dell’elemento soggettivo richiesto dal reato. Scrive il procuratore nella richiesta: «Le motivazioni espresse dai docenti, pur autorizzando qualche perplessità sull’idoneità delle modalità di svolgimento delle prove di esame ad eliminare strumentalizzazioni da parte di studenti sospesi e loro simpatizzanti, consentono di escludere il dolo intenzionale di arrecare vantaggio indebito agli studenti sospesi, emergendo magari una malintesa, ma non peregrina, esigenza di assicurare il buon esito degli esami, senza proteste che avrebbero arrecato nocumento agli studenti regolarmente iscritti».
Nel provvedimento, pur dando atto del tempestivo intervento dell’università, non manca una bacchettata per l’Ateneo che viene invitato ad «affrontare e definitivamente risolvere il tema» delle strumentalizzazioni da parte dei collettivi. «Il provvedimento della Procura conferma che gli esami non hanno avuto luogo e che abbiamo attivato fin da subito le procedure informatiche per inibirne la verbalizzazione. Non esistono pre verifiche, ci sono gli esami e basta», dice il prorettore alla didattica Enrico Sangiorgi. Resta l’invito all’Ateneo a eliminare ogni ambiguità nei confronti dei collettivi: «Se un docente ritiene opportuno far fare un colloquio, perché in quel momento lo ritiene il minore dei mali o teme contestazioni, non possiamo impedirlo. Speriamo che in futuro non si ripeta ma non abbiamo le guardie armate per impedire l’ingresso di megafoni o striscioni».
Il prorettore Sangiorgi Se un prof fa un colloquio perché è il minore dei mali o teme contestazioni non possiamo impedirlo