2 Agosto, la ferita in aula 37 anni dopo
Una trentina di familiari delle vittime in Tribunale per l’udienza Cavallini. Ammesse 90 parti civili
Trentasette anni dopo la bomba alla stazione di Bologna e dieci anni dopo l’ultimo processo celebrato per questa strage, i familiari delle vittime, guidati da Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione e parlamentare pd, sono tornati ieri in un’aula di tribunale, dove si discuteva, ancora, di Due Agosto. Si tratta dell’udienza a carico di Gilberto Cavallini, ex Nar, già condannato i per banda armata e ora imputato per concorso in strage. La decisione il 25 ottobre.
Sono arrivati da mezza Italia: Palermo, Verona, Como, Padova, l’Aquila, Asti e naturalmente Bologna. Ancora in un’aula di Tribunale a 37 anni dalla strage, a 29 dalla sentenza di primo grado, a 22 dalla quella definitiva di condanna per gli esecutori materiali e a 10 dall’ultima pronuncia dei giudici. I familiari delle vittime del 2 Agosto si sono presentati in via Farini di buon mattino, con largo anticipo rispetto all’inizio dell’udienza preliminare che vede imputato l’ex Nar Gilberto Cavallini per concorso nella strage. Ognuno con la sua personale storia di dolore, con una memoria da preservare nonostante il tempo trascorso.
Sono padri, madri, fratelli, sorelle e soprattutto figli di chi quel giorno di 37 anni fa è stato spazzato via dalla bomba alla stazione. Prendono posto in silenzio nell’aula al piano terra di via Farini preceduti dal presidente dell’associazione Paolo Bolognesi. Ascoltano senza battere ciglio i passaggi tecnici dell’udienza: eccezioni preliminari, istanze, schermaglie procedurali. Si ritrovano fuori, in cortile, mentre aspettano le decisioni del giudice Alberto Ziroldi. Sono una trentina, alcuni di loro non si vedono da anni, altri non mancano mai alla commemorazione della strage. Sono parti civili, lo sono da sempre. Alla fine il giudice ne ammetterà 87, oltre a Comune, Regione e presidenza del Consiglio.
Grazia Di Paola ha preso l’aereo all’alba da Palermo. È qui per Antonino, suo fratello, che a Bologna aveva trovato lavoro e poi pure la morte. Aveva 32 anni e quel giorno era in stazione per accompagnare un collega in partenza: «Dopo tanti anni ha ancora senso lottare per la verità, non mi stancherò mai di farlo anche se il dolore si rinnova. Sono molto emozionata». Ha gli occhi lucidi anche la signora Cristina Caprioli che viene da Verona e stringe tra le mani gli articoli di giornale che parlano di suo fratello Davide, venti anni appena. «Provo una sensazione di fastidio: mi chiedo sempre chi è in prigione, loro che ormai sono fuori o in semilibertà o noi che abbiamo perso per sempre i nostri cari? Il 2 Agosto mi ha costretto all’impossibilità di essere davvero felice».
C’è chi è sopravvissuto alla bomba e ha passato gli anni a chiedersi perché lei si e le sue colleghe no. «Sono qui perché devo farlo, non certo perché voglio. Il pensiero di essere qui mi ha tenuta sveglia per giorni», dice Marina Gamberini, impiegata alla Cigar, l’azienda di ristorazione della stazione che aveva gli uffici nei pressi della sala d’aspetto della seconda classe. È rimasta due ore sotto le macerie. le sue sei colleghe non ce l’hanno fatta. Per Francesca Lauro è la prima volta in un’aula di Tribunale, aveva solo nove anni il 2 agosto quando i suoi genitori non sono più tornati a casa, a Napoli: «Per me è tutto nuovo, non ho mai presenziato a un processo sulla strage. Ora riesco a capire molte cose, essere qui è importantissimo per me». Fabio Gallon, che ha perso madre e sorella, guarda avanti, all’udienza in cui si deciderà la sorte del fascicolo sui mandanti: «Si fa fatica a ricordare ma è un dovere essere qui, lotteremo fino alla fine perché sia fatta luce su chi ha voluto la strage».