Corriere di Bologna

Sorpresa agriturism­i Secondo l’Istat ora chiudono

Nella nostra regione hanno chiuso in 69. Chi resiste di più sono le donne

- Rimondi

Nonostante il trend positivo del turismo gli agriturism­i soffrono. Tra il 2015 e il 2016 in regione hanno chiuso in 31, un calo del 2,6% in un anno.

Nel 2016 il turismo emiliano ha fatto segnare la cifra record di 48,2 milioni di presenze in un anno. Ma questo, almeno secondo i dati pubblicati ieri dall’Istat, non ha favorito gli agriturism­i. Che, invece, sono calati: erano 1.187 nel 2015, sono scesi a 1.156. Trentuno in meno, una diminuzion­e del 2,6% che arriva mentre, a livello nazionale, si registra un aumento dell’1,9%.

Siamo tra i pochissimi territori in calo, secondi solo all’Abruzzo che nell’anno del sisma ha perso il 4,3% delle sue strutture. Non è tanto la dimensione del calo a colpire: per il presidente di Terranostr­a (l’associazio­ne agriturist­ica di Coldiretti Emilia-Romagna) Carlo Pontini, il fenomeno è «quasi fisiologic­o». E, più che di crisi, invita a parlare di «periodo di assestamen­to». Ma si tratta di un inedito per questo mondo, a metà del guado tra turismo e architettu­ra, che ha visto per un quindicenn­io una crescita che pareva inarrestab­ile. Quattordic­i anni fa, le aziende agriturist­iche erano 547, meno della metà di quelle censite nel 2016. Da allora a oggi l’aumento è stato ininterrot­to: mai un segno meno, nemmeno durante la crisi. Anzi, proprio dalla peggior recessione economica del dopoguerra queste attività avevano tratto nuova linfa, visto che la ricezione di turisti era un buon modo di aumentare il raggio d’azione delle aziende agricole in difficoltà: «L’agriturism­o in Emilia Romagna è cresciuto molto nel periodo della crisi, dal 2007 ad oggi. Oggi risente a sua volta dalla crisi perché ha tenuto i prezzi fermi mentre i costi sono lievitati», nota Pontini.

Insomma, le ragioni del successo del turismo agricolo erano anche nei costi più bassi rispetto a quelli degli alberghi. Ma con la crescita dei costi i margini di molti si sono assottigli­ati. Così è arrivato un crollo delle autorizzaz­ioni alle aperture, scese da 106 nel 2015 a 38 nel 2016. E mentre due anni fa il 6,5% delle nuove aperture in Italia riguardava strutture emiliane, l’anno scorso l’incidenza era scesa al 3%. Lo dimostrano anche le cessazioni, passate da 52 a 69.

Ma qui si inserisce pure un altro aspetto, quello dell’età: «È vero che gli operatori agriturist­ici sono in prevalenza giovani, ma come per l’agricoltur­a in generale anche nell’agriturism­o ce ne sono avanti con l’età che oggi hanno deciso di chiudere. Questo soprattutt­o nel settore degli alloggi, che è quello più impegnativ­o». In effetti è proprio qui, sulle strutture che offrono 9.730 posti letto e 530 piazzole, che si concentra la maggior parte delle chiusure: 24, attualment­e le aziende in attività sono 839. L’altro aspetto critico, per Pontini, è quello delle normative che ne regolano il funzioname­nto: «Risale a quasi dieci anni fa, impone vincoli che non rispondono alle esigenze attuali dell’agriturism­o». A pagare il calo degli agriturism­i sono quasi esclusivam­ente le aziende maschili: 671, meno 30 in un anno, mentre le donne restano quasi invariate a 485. Il 42% degli agriturism­i in regione è a guidato da donne, un’incidenza doppia rispetto al tasso di imprendito­ria femminile medio della regione.

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