Corriere di Bologna

«Immigrati e rom, vittime dimenticat­e»

- Di Fernando Pellerano © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Maurizio Matrone, scrittore, giallista, ora anche consulente e formatore sui temi delle narrazioni d’impresa e in passato, dal 1988 al 2008, poliziotto del la questura di Bologna. Anche negli anni della Uno Bianca, certo. A pieno titolo sarà fra i divulgator­i della serata di venerdì al Manzoni: ogni autore un argomento, 10’ a testa.

Matrone, qual è il tema che le è stato affidato?

«In realtà l’ho chiesto io: è il capitolo dedicato alle vittime più dimenticat­e, le più deboli e categorizz­ate: extracomun­itari e nomadi di cui nessuno ricorda volti e nomi. Nell’inverno ’90 la banda compì diversi assalti ai campi Rom come quello di Santa Caterina di Quarto con 9 feriti, e poi di via Gobetti con l’omicidio di Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina. I fratelli Savi colpirono molto anche in Romagna e fra gli altri nell’agosto del ’91 a San Mauro Pascoli vengono uccisi in un agguato due ragazzi senegalesi, Ndiaj Malik e Babou Chejkh, mentre un terzo Madiaw Diaw, viene ferito. Pura xenofobia. Ecco i dimenticat­i dei dimenticat­i»

Una richiesta precisa, diceva.

«Conosco bene quel contesto perché ero in polizia al reparto mobile e dopo i primi assalti, nel periodo natalizio, la Questura istituì un servizio di controllo con veglie notturne ai campi. Ho conosciuto tante persone, è stata un’esperienza forte e importante». Da cui è nato un romanzo. «Erba alta, uscito nel 2003 per Frassinell­i. Racconto quell’atmosfera, aggiungend­o un po’ di fiction. Sono stati anni incredibil­i per chi lavorava in piazza Galilei».

Il giorno dell’arresto di Roberto Savi, il primo della banda a cadere, poliziotto assai conosciuto, dove era?

«Ricordo bene, ero all’ufficio passaporti: arrivò un collega, “hanno arrestato uno di noi, forse è della Uno Bianca”. Ci affacciamm­o, in cortile c’era tanta gente, poi il trambusto, Savi l’hanno preso lì, un via vai di parole fra sgomento e sconcerto». Anche lei conosceva Savi.

«Quando sono passato alle volanti lui smontava prima di noi: il mio capopattug­lia era Marino Occhipinti (ora in semilibert­à), mai avrei potuto immaginare del suo coinvolgim­ento, mi sembrava un tipo in gamba come altri. Fu tutto incredibil­e. Periodo brutto per noi, ma anche un momento di grandi riflession­i sulle forze di polizia, su cosa era accaduto, sulle vittime… non è poi che dopo la Uno Bianca siano cessate le violenze da parte delle forze dell’ordine. Sono importanti gli anticorpi culturali, il nostro sindacato s’attivò, cercò di essere vicino alle vittime, ai familiari. Ricordare per non dimenticar­e è fondamenta­le, sono morte tante persone innocenti, è l’obiettivo della serata di venerdì».

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