Corriere di Bologna

Stallo alla Motori Minarelli L’azienda non cede sui 68 lavoratori in mobilità

- R. R. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ci sono voluti dodici minuti per capire che anche il nuovo round di trattative in Confindust­ria era destinato a finire in un nulla di fatto. I vertici di Motori Minarelli non si spostano dall’intenzione di portare avanti la procedura di mobilità per 68 persone, oltre un quarto dei dipendenti in forze all’azienda di Calderara di proprietà di Yamaha. «Ci hanno detto in modo sbrigativo che gli ammortizza­tori sociali non sono pertinenti con la situazione aziendale — le parole di Michele Lollini della Fiom all’uscita dall’incontro —. Ora intensific­heremo le iniziative». Tradotto, c’è l’intenzione di andare anche oltre le 24 ore di sciopero già deliberate dalla rsu di Motori Minarelli. Di sicuro lunedì i dipendenti saranno in centro a Calderara per un volantinag­gio, in attesa che il 23 ci sia il nuovo tavolo in via San Domenico e aspettando di sapere se il tavolo a Roma con Yamaha, richiesto dai vertici di Fim e Fiom, si materializ­zerà mai. Ieri la direzione di Motori Minarelli ha confermato che per i prossimi tre anni si prevede un abbattimen­to dei volumi di produzione. I sindacati, dal canto loro, chiedono di sapere quanti ammortizza­tori sociali si possono ancora utilizzare e vogliono una riduzione nel numero di esuberi, prima di procedere con qualsiasi tipo di trattativa. Una situazione sempre più simile a un muro contro muro di cui è difficile prevedere il finale. Anche se tra i dipendenti, che hanno accompagna­to il tavolo con un presidio, non serpeggia l’ottimismo. Questa è la quarta procedura di mobilità dal 2010 a oggi. Solo negli ultimi sette anni il numero di dipendenti si è ridotto da 357 a 259. Le lettere non sono ancora partite, ma gli esuberi sono già stati individuat­i. C’è chi sa benissimo di rischiare perché alcuni ruoli sono ricoperti solo da una persona in azienda. In altri reparti invece si fanno i calcoli per conoscere le proprie possibilit­à di non essere licenziati: nella logistica rischiano in 21 su 48, nelle lavorazion­i meccaniche in 25 su 48. Uno su due, in pratica. «Ci guardiamo tra di noi, al lavoro, e lo sappiamo — racconta un gruppo di lavoratric­i —. È difficile, perché comunque sai che devi continuare a lavorare. È anche una questione di dignità, noi non siamo dei lavativi. Dove qualche anno fa lavoravano in due o tre ora si è da soli e si sa sempre di avere un piede fuori dalla porta». Rossella fa parte del reparto di montaggio, in cui rischiano 18 dipendenti su 89: «Io so che a questo giro non ci sono, ma chi mi dice che tra due anni non toccherà a me? Qui ormai vogliono lasciare solo il commercial­e, gli uffici non li toccano. Vogliono portare la produzione nei Paesi asiatici. Siamo pronti al peggio, stavolta è dura».

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