CRISTICCHI
«LA MIA BUONA NOVELLA»
Duse La sala di via Cartoleria inaugura stasera la stagione con lo spettacolo del «cantattore» tratto dall’opera di De Andrè. «Il Gesù che ho immaginato torna nel mondo di oggi, precisamente in Italia, nei centri di espulsione, nelle carceri e nei luoghi di cura per finire come un barbone. Ma si diverte pure»
Simone Cristicchi ama scovare negli scantinati oggetti preziosi un po’ impolverati e ridargli vita. «Come un antiquario». L’oggetto prezioso in questo caso è uno dei capolavori (forse il più capolavoro) di Fabrizio De Andrè: La Buona Novella, tratta dai Vangeli apocrifi. Uscito nel 1969, quando in Italia si era ancora in piena contestazione sessantottina, il disco fu criticato dagli stessi giovani dell’epoca perché ritenuto distante dalla loro ribellione. Invece le allegorie contenute in quel concept album furono capite solo col tempo. Cristicchi, dopo Il secondo figlio di Dio, torna a Bologna e inaugura domani, sabato, la nuova stagione del Teatro Duse proprio con La Buona Novella, riletta in una versione per orchestra e coro giovanile scritta da Valter Sivilotti. All’opera di Faber Cristicchi ha aggiunto un monologo, A volte ritorno, ispirato ai testi di don Andrea Gallo e don Pierluigi Di Piazza, e Si chiamava Gesù, scritta dallo stesso De Andrè ma mai inserita nell’album (ore 21, info 051/231836).
Cristicchi, come è nata l’idea?
«Dalla Fondazione De Andrè. Voleva affidare La Buona Novella a un artista giovane (diciamo così) o almeno che dialogasse con le giovani generazioni, per rileggerla in una maniera nuova. Non ero il solo, tra i contattati, ad esempio c’era anche Caparezza, ma ho accettato per primo». Dunque, non aveva dubbi? «Calma, i primi tempi mi tremavano le gambe». Cosa è successo poi? «Ho pensato a come affrontarla. All’inizio ero tentato...». Era tentato? «Volevo rileggerla in chiave elettronica. Poi ho optato per la versione orchestrale e con Valter Sivilotti la abbiamo immaginata anche con contaminazioni etniche».
Alla «Buona Novell»a ha aggiunto del suo, però.
«Sì, specie nel prologo, “A volte ritorno”. L’opera di De Andrè dura 45 minuti e siccome racconta il Vangelo nel mo-
do più umano, ho immaginato Gesù che torna nel mondo di oggi».
Ci faccia indovinare: per caso torna in Italia?
«Già, tra tanti posti ha scelto proprio quello!».
E cosa vede Gesù oggi in Italia?
«Rivive una Via crucis 2.0 tra centri di identificazione ed espulsione, di diagnosi e cura, carceri, per finire nell’oblio della strada tra l’indifferenza generale e addormentarsi in una stazione come un barbone qualunque. Però rimane anche sbalordito e si diverte». Menomale... «Già. Ride soprattutto sulle file infinite davanti a un Apple center che scambia per una nuova chiesa e si esalta a vedere gente pregare su strane tavolette di metallo».
Ma lei come vorrebbe che fosse oggi Gesù?
«Mi piacerebbe un Gesù che si arrabbiasse. Nello spettacolo si capisce. A un certo punto parte un’invettiva fortissima contro le persone che commettono il male consapevolmente. Ecco, sono le persone peggiori per me. Quelle che si sono scagliate contro giovani come Cucchi. O come Aldrovandi».
Da tempo viene definito un cantattore: le fa piacere?
«Mi sento più un antiquario di memorie. Mi piace riportare a galla storie impolverate. Non è stato subito facile ma col tempo mi sono costruito una piccola creatività che mi permette di proporre le cose che mi appassionano».
«Ti regalerò una rosa», il brano vincitore di Sanremo nel 2007, compie 10 anni: come vive oggi quel periodo?
«Ne conservo un bel ricordo. Nei bis qui la canto anche. Insieme ad altri due pezzi riarrangiati».
E se ora le chiedessero di partecipare al prossimo Sanremo?
«Non posso. Sono in tournée. Poi chissà: mai dire mai».