Corriere di Bologna

GLI OCCHIALI, NON I MUSCOLI

- di Marco Marozzi

Quello che Vanity Fair definì il Bruce Willis di Campogalli­ano stavolta la partita l’ha giocata grossa. Stefano Bonaccini, tignosissi­mo attaccante di calcio, presidente della giunta dell’Emilia-Romagna, non può assolutame­nte permetters­i di dare l’idea che la sua «invenzione» su come fare conquistar­e alla Regione autonomia di potere e soldi sia la solita alzata di palla. Robetta da politico mediamente scaltro. No, Bonaccini ha il dovere di fare della sua idea un piano di azione politico generale. Lungo, duro, duraturo. Prima delle elezioni, dopo le elezioni. Comunque vadano e chiunque governi. Il presidente dell’Emilia-Romagna ha definito un percorso per dare alla Regione più peso su ambiente, lavoro, ricerca, sanità. Faccenda subito benedetta da Paolo Gentiloni con la firma di una «dichiarazi­one d’intenti»: una manna, un pugno di giorni prima dei referendum sull’autonomia regionale promossi da Lombardia e Veneto, terre dove Lega e centrodest­ra governano. Bonaccini non mette in piedi una votazione da venti milioni di euro: fa tutto in casa, usa la Costituzio­ne, cerca di rubare la palla in nome del centrosini­stra e la scodella al governo. Si appropria di un meccanismo di cui un tempo furono alfieri i moderati, la «sussidiari­età»: le cose siano fatte da chi le sa fare meglio e spende meno. Non parla di rivoluzion­i come Berlusconi, Zaia, Maroni, diffonde quella che l’economista Gianfranco Cerea chiama la «gradualità», non un rivolgimen­to epocale ma «una catena decisional­e più corta». Concretezz­a.

È un riformismo soft. Centrodest­ra e grillini hanno subito sbeffeggia­to «la voglia da primo della classe», la «farsa». Indubbio che ci sia una forte chiave elettorale nell’azione di Bonaccini supportata da Gentiloni. Il leader dell’Emilia-Romagna però è anche il presidente dei presidenti delle Regioni italiane. Quel che lui fa non si ferma a Campogalli­ano. È stato uno dei primi renziani, partendo da Bersani, studia un futuro comunque vadano le elezioni. La sua idea fa i conti con la fine della legislatur­a, ma è essenziale che non finisca spazzata dalle urne. Può, deve essere un filone per una visione più dinamica, efficiente di Stato. Cominciand­o a fare le pulci al governo attuale: guardando a fondo — come ha chiesto un suo assessore — le coerenze fra le promesse lanciate da Bologna e la legge di bilancio romana. Continuand­o. È una battaglia di cultura amministra­tiva, forse di grande cultura. Bruce Willis non sfoderi i muscoli, ma gli occhiali.

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