Le imprese emiliane a secco di manager
Lo studio di Ernst & Young. Cresce l’attrattività ma un’azienda su tre «fatica a trattenere i migliori talenti» Bene risorse umane e propensione all’export. Serve «più apertura al contributo di professionalità esterne»
Le imprese sono sempre più dinamiche, ma mancano i manager. Ecco l’analisi della stato di salute della manifattura della via Emilia secondo la ricerca condotta dal centro studi Gro insieme a Ernst & Young e allo studio legale Tullio & Partners. L’Emilia Romagna oggi conta su un tasso «di managerializzazione» di otto punti più basso rispetto alla media italiana, e molto distante da quelli che invece sono i numeri lombardi.
È un quadro luci e ombre quello fornito dagli esperti durante il convegno «Transformation Capital- Finanza e talento per innovare» promosso dalla Camera di Commercio modenese. Se da una parte le imprese emiliane richiamano forti investimenti, per migliorare la loro attrattività bisogna «aumentare la dimensione aziendale e la managerializzazione, così come credere di più nei propri talenti». Solo un’impresa su cinque tra quelle intervistate ha un programma ad hoc per la loro gestione, mentre quasi una su tre ha «significativi problemi» a trattenere le risorse migliori.
«In un sistema ancora piuttosto chiuso alla contaminazione tra settori (solo il 12% delle imprese valuta di attribuire ruoli chiave a manager provenienti da industry diverse dalla propria,), il processo di managerializzazione intrapreso appare forse eccessivamente focalizzato sulla ricerca della continuità» come spiega Marco Menabue il partner Ey.
Il messaggio dunque che è passato ieri a Modena è che ai tempi del 4.0 le imprese del territorio hanno una grande opportunità, ma devono attrezzarsi per coglierla. «Certo, migliorare si può — continua Alberto Rosa, partner Ey responsabile per l’Emilia-Romagna —. Il nostro osservatorio evidenzia l’elevato livello di vitalità e innovatività del tessuto imprenditoriale (+28% rispetto alla media italiana), l’alta stabilità sociale (+4%), l’ampiezza del mercato domestico (+39%), l’alto grado di internazionalizzazione delle imprese (+51%, performance straordinaria dovuta ai valori particolarmente elevati di export) e la buona situazione della infrastrutture (+21%)».
Tutti plus che possono rappresentare una calamita per gli investimenti, se appunto «accompagnati dalla digitalizzazione dei processi industriali e da una maggiore apertura al contributo di professionalità esterne».
L’area emiliana si caratterizza però anche per «un’elevata innovatività» imprenditoriale, con tante realtà attive nella knowledge economy (+53% sulla media italiana) e startup innovative (+84%), mentre è inferiore alla media nazionale (-15%) il numero di pmi innovative. In tutto questo, Confindustria si mostra però ottimista: «In Italia e in Emilia in particolare non è in discussione che ci siano talenti all’altezza, questo ce lo riconoscono tutti. Noi abbiamo soprattutto un problema dimensionale e quindi anche manageriale» sottolinea Emilia Valter Caiumi, vicepresidente di Confindustria Emilia. «Dobbiamo — continua — insistere sulla contaminazione e far circolare le esperienze e le eccellenze che abbiamo in settori diversi, per merito dei distretti».
Sull’attrattività, secondo la ricerca, l’area emiliana sta facendo meglio dell’Emilia-Romagna in generale e dell’Italia, ma il gap con la Lombardia c’è ancora. Si ritorna così agli aspetti da migliorare perché sono un freno, in un contesto di «burocrazia, il costo del lavoro e il regime fiscale». Va meglio invece «la qualità della manodopera», anche se qui si entra in un campo di nuovo critico: pesa secondo gli esperti, infatti, «la difficoltà di reperire le competenze necessarie dal sistema scolastico», la cui efficacia dice l’osservatorio Ey è «inferiore di tre punti alla media italiana».
L’analisi di Confindustria Caiumi: «Dobbiamo insistere far circolare le esperienze e le eccellenze che abbiamo in settori diversi per merito dei distretti»