Corriere di Bologna

Le madri degli altri e le coccole salvavita

Sant’Orsola Con Silvia Avallone tra i neonati prematuri

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Sono minuscoli. E fragili. E diafani. E tutte le cose che si possono pensare di qualcosa di così piccolo che anche dentro una culla quasi sparisce. Ma c’è. C’è eccome. E va curato così tanto per spingerlo dentro la vita che due mani non bastano. Ne servono quattro, sei, otto, dieci, in questo caso 60: quelle delle trenta volontarie dell’associazio­ne «CucciolO» che riunisce dal ‘95 i genitori dei bambini prematuri. Due mani e due braccia ce le mette anche la scrittrice Silvia Avallone che, scoperto questo posto che è quasi un «limbo» dove la vita aspetta di partire con più decisione, non l’ha lasciato più. È stata lei a portarci per mano fin qui. La sede dell’associazio­ne è al terzo piano del padiglione 13 del Sant’Orsola, a pochi passi da dove le culle scaldano i corpi piccolissi­mi dei bimbi nati anche diversi mesi prima della fine della gravidanza.

Le volontarie dell’associazio­ne, presieduta da Michela Mian, due gravidanze su due finite ancora prima che si potesse vedere il pancione, si accordano su whatsapp: oggi tocca a me dalle 12 alle 13, domani a te dalle 16 alle 17, se tu ci vai alle 10 mi fai un favore. Una rete fitta che è diventata la seconda culla dei bimbi nati pretermine. Adesso sono tante le volontarie, c’è quasi da litigarsel­i questi scriccioli. Ma per fortuna va così. Alcuni hanno la mamma ricoverata che non può essere lì accanto e magari il papà da solo non può colmare tutti i vuoti. Altri hanno genitori che non riescono a stare in ospedale tutto il tempo che servirebbe per far loro il pieno di coccole. Altri sono rimasti soli: «esposti alla vita» li chiama l’associazio­ne, che non ama la parola «abbandonat­i». Ce ne sono circa 5 all’anno al Sant’Orsola, se si vuole stare alle fredde medie statistich­e. «Li chiamiamo “esposti” — dice Mian — perché vengono dati a una vita migliore: dietro la scelta della madre c’è sempre una storia di disperazio­ne. Noi a questi bambini stiamo vicini il più possibile, andiamo lì e li coccoliamo, finché non vengono dati in affido. A volte li seguiamo anche quando escono dall’ospedale, ma la cosa fondamenta­le è non lasciarli soli al- l’inizio della loro vita. In quel momento noi volontarie siamo le loro mamme». E poi c’è l’aiuto per acquistare macchinari, poltrone, materiale medico. «Servono contributi», dice Mian. Ben vengano le tessere associativ­e, le donazioni, il cinque per mille.

Volontario lo può diventare chiunque: uomo o donna, giovane o anziano, con o senza figli. E ovviamente anche chi c ’è già passato e sa che inferno attraversa un genitore in quei momenti di sospension­e tra la vita e la morte del proprio figlio. Si fa un colloquio con la psicologa messa a disposizio­ne dall’associazio­ne e, se la valutazion­e è positiva, quando si trova un’ora del proprio tempo, ci si infila un camice, si lavano bene le mani, e si va a dare ai neonati ancora acerbi il cibo più nutriente di tutti. Ovviamente con il consenso dei loro genitori, quando ci sono. Sono loro che chiedono l’attivazion­e del servizio. Basta un cenno e la «squadra» delle coccole si mette in moto subito.

Silvia Avallone è arrivata qui quasi per caso. Non se ne è più andata via. È stata lei ad accompagna­rci una mattina al Sant’Orsola. Il suo viaggio per arrivare al padiglione 13 è partito dalle ricerche fatte per il suo terzo romanzo, Da dove la vita è perfetta, che racconta di una madre minorenne che vuole dare in adozione la figlia neonata. «Mi sono fatta una domanda: “Cosa succede a un bambino abbandonat­o, quando resta lì da solo? E come possono i genitori adottivi sanare il vuoto di quei primi giorni?». Domande difficili nate in un libro, a cui Avallone, arrivata alla fama con Acciaio, ha provato a dare risposta con la realtà. «Potevo fare qualcosa di reale per colmare quel silenzio e quel vuoto». E lo fa, districand­osi tra la scrittura e la sua bimba di due anni che le ha spalancato un mondo nuovo. «Vengo qui, lascio tutta la mia vita fuori, e torno a casa felice. Qui si sta a contatto con una cicatrice, ma questa esperienza ti riempie, perché sai di contribuir­e a rendere l’inizio di questi bambini migliore». E di questi corpi piccolissi­mi si può essere madri anche solo per un’ora. «La maternità non ha solo a che fare con la biologia, c’è uno scambio che va oltre». I corpi si toccano. E poi c’è la voce. «Io leggo delle poesie, racconto cosa c’è lì fuori, che futuro li aspetta». Silvia disegna il loro futuro con le parole. Loro si aggrappano a quelle mani e a quella voce. E crescono.

L’autrice Stare qui è stare a contatto con una cicatrice, ma questa esperienza ti riempie. Torno a casa felice. Racconto loro cosa c’è lì fuori e immagino il futuro che avranno L’associazio­ne Al Sant’Orsola il «CucciolO» regala tempo ai piccolissi­mi nati pretermine

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 ??  ?? In culla Per i bambini nati pretermine il contatto fisico è indispensa­bile per la crescita. Ogni giorno le volontarie dell’associazio­n e «Cucciolo» vanno al Sant’Orsola a coccolare i bimbi prematuri abbandonat­i o che non hanno i genitori a disposizio­ne...
In culla Per i bambini nati pretermine il contatto fisico è indispensa­bile per la crescita. Ogni giorno le volontarie dell’associazio­n e «Cucciolo» vanno al Sant’Orsola a coccolare i bimbi prematuri abbandonat­i o che non hanno i genitori a disposizio­ne...
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