«Senza carezze tengono sempre gli occhi chiusi»
Ha iniziato a lavorare in Neonatologia nel 1988. Ventinove anni fa. Migliaia di bambini fa. Migliaia di lacrime e di sorrisi fa. Rosina Alessandroni, per tutti Rosina qui al terzo piano del Gozzadini, è la responsabile del reparto Cure intermedie di Neonatologia del Sant’Orsola. Ai bimbi prematuri e alle loro famiglie ha dedicato tutta la sua vita. E conosce bene il suono che fa il respiro di un bimbo a cui si parla, a cui si sfiora la mano minuscola, che viene preso in braccio più volte al giorno. E conosce bene il viso dei genitori che ricevono un aiuto, quando la situazione si complica. L’associazione «Cucciolo» che riunisce i genitori di bimbi prematuri è nata anche da una sua intuizione e su sua spinta.
Dottoressa Alessandroni, perché avere in reparto un’associazione che si occupa di coccole ai prematuri?
«I bambini prematuri sono un’entità un po’ misconosciuta: per loro servono respiratori, apparecchiature per nutrirli. Ma soprattutto serve un supporto ai genitori- Più di vent’anni fa suggerii loro di fare un’associazione per collaborare tra loro, nella mia testa era indispensabile un aiuto a loro in un momento difficile. Si è fatta fatica a farla decollare, ma adesso le tecnologie aiutano a stare in contatto».
L’aiuto ai genitori. E le coccole ai bambini nati pretermine. Che effetto hanno il contatto fisico e la presenza su neonati tanto fragili?
«Basta dire solo una cosa: il bambino abbandonato a se stesso tiene sempre gli occhi chiusi, si isola. Se non si interagisce con il bambino, gli esiti a distanza sono negativi. Le volontarie che fanno le coccole, per esempio, hanno un effetto di contenimento del neonato prematuro dopo l’allattamento: in questo modo i bimbi assumono il pasto più volentieri. Ma sul maternage c’è ancora un grosso lavoro da fare, sia sulle f a mi g l i e c h e s u l p e r s o n a l e ospedaliero».
È rimasta in contatto con alcuni dei «suoi» bambini prematuri?
«Io sono la “zia” dei prematuri. Alcuni si fanno ancora sentire. E la cosa sorprendente è che molti di loro fanno lavori di aiuto alla persona o fanno i vo l ontar i i n a mbulanza. Un modo forse per restituire le cure avute».
Sul maternage c’è ancora molto lavoro da fare Più di vent’anni fa spinsi i genitori a fondare un gruppo che fosse di supporto soprattutto per loro