Corriere di Bologna

Lavoratori più vecchi, montagne addio La fotografia della Regione per l’Ires

L’Appennino si spopola, anche se l’Emilia è fuori dalla crisi. E l’età media cresce

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L’Emilia-Romagna cresce, ma questo porta con sé squilibri economici e sociali. I lavoratori invecchian­o, l’occupazion­e aumenta soprattutt­o nei settori che offrono gli stipendi più bassi l’Appennino continua a spopolarsi. È l’analisi, a luci e ombre, dell’Ires regionale, che nel suo rapporto annuale dà una lettura delle performanc­e dell’Emilia-Romagna.

E che, nonostante diversi numeri positivi, punta il dito sulle criticità. «Il quadro — scrive nell’introduzio­ne il centro studi della Cgil — evidenzia come questa crescita sia il frutto di fenomeni di cambiame n t o c h e h a n n o i mpa t t i molto diversific­ati sui settori». Impatti che, complessiv­amente, «inducono un aumento degli squilibri denso di criticità». I cambiament­i più profondi si vedono nel mercato del lavoro, dove l’occupazion­e è cresciuta di quasi 50mila unità in un solo anno, il 2016, per un totale di 1,967 milioni di persone al lavoro. Il dato migliore di un triennio sempre in crescita.

Ma nel frattempo l’età media di persone al lavoro è aumentata: nel 2008 gli occupati avevano mediamente 41,1 anni, otto anni dopo ne hanno 44,1. E chi ha trovato lavoro prende nella maggior parte dei casi stipendi più bassi del- la media regionale. Si nota nell’occupazion­e femminile, che è aumentata molto più di quella maschile: le donne rappresent­avano il 43,8% delle persone al lavoro nel 2008, mentre lo scorso anno sono salite fino a quota 45,2%. «Ma continua a insistere un gap retributiv­o superiore al 30%», nota lo studio dell’Ires.

Pi ù pre c i s a mente: s e nel 2 0 1 5 un uomo g ua da g na va mediamente 27.267 euro, le donne si fermavano a 18.247. Tra il 2008, inizio della crisi, e il 2016, il numero di persone impiegate nell’industria è rimasto pressoché stabile, mentre i lavoratori dei servizi sono cresciuti di 63mila unità e sono arrivati a quota 1,272 milioni. Ma il terziario non commercial­e, quello che ha visto la c r e s c i t a p i ù ma r c a t a ( p i ù 44mila occupati in otto anni), vede «un gap retributiv­o di circa il 30% rispetto al manifattur­iero».

Le differenze in busta paga variano in maniera pesante anche a seconda della qualifica di chi lavora. Gli stipendi medi ammontavan­o nel 2015 a 23.256 euro: ma se un operaio ne guadagna 18.024, un impiegato sale 26.071, i quadri arrivano a 61.076 e i dirigenti a 135.650. Per prendere più della media, comunque, bisogna aspettare i 40 anni di età: prima, s i p u ò a r r i va r e s o l o a i 22.310 euro di chi si trova nella fascia 35-39.

Il rapporto prende in consideraz­ione anche i fenomeni demografic­i. La popolazion­e è in aumento, ma non dappertutt­o: le persone continuano a fuggire da dove la crisi non ha ancora finito di mietere vittime. Vale per la provincia di Ferrara, che ha perso 2.314 abitanti in un anno, e vale per la montagna dove si sono persi 1.505 residenti. L’Appennino bolognese a inizio 2017 contava 52.552 abitanti, dopo che da qui per tutto il 2016 se n’è andata almeno una persona al giorno. I residenti sono calati di 411 unità, nell’anno delle crisi di realtà come Saeco, Stampi Group e Demm.

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Vertenza Lo stabilimen­to della Saeco a Gaggio Montano

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