Corriere di Bologna

«Fortitudo, certi amori non finiscono La mia Verona giovane ci proverà...»

Dalmonte: «Per la serie A ci sono Effe e Trieste. E non mi fiderei del -25»

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Luca Dalmonte, se la ricorda l’ultima volta che ha allenato al PalaDozza?

«Certo, con Cantù, contro l’ultima Fortitudo di A, quindi era il 2009. Vincemmo noi all’ultimo tiro».

Ci torna domenica, otto anni dopo, guidando Verona. Emozionant­e?

«Se uno non si emoziona salendo la scaletta del PalaDozza, deve farsi seriamente delle domande: ha passione per questo mestiere, per questo sport? Non è affatto un’esagerazio­ne, le sensazioni che trasmette il PalaDozza sono uniche, non c’è paragone. Da capire che effetto farà a chi ci entra per la prima volta, come quasi tutti i miei giocatori».

L’anno scorso subentrò a n o ve mbre , q u e s t ’ a n n o l a squadra se l’è costruita, e l’ha fatta molto giovane.

«La più giovane del campionato, per la precisione. L’idea di fondo è che, con una sola promozione su 32, non avremmo avuto le risorse per competere con le più forti. Allora abbiamo pensato a una squadra che potesse durare non una stagione ma almeno due, con molti elementi giovani e motivati, da far crescere, per poi magari provare a salire l’anno prossimo, quando le promozioni saranno tre. Da allenatore è molto stimolante,

L’ultima volta al PalaDozza allenavo Cantù e vincemmo di uno Quando si entra in quel campo scatta l’emozione, solo chi non ama il basket resta insensibil­e a questo palasport Vediamo come reagiranno i miei ragazzi

anche se per quest’anno puntiamo solo ai playoff».

Oggi in Serie A con i giovani proprio non ci si va?

«Lo dicono i fatti. Fortitudo e Trieste ci sono andate vicine, ma poi per fare l’ultimo passo, potendo spendere, hanno logicament­e puntato su qualità ed esperienza».

Di questa Fortitudo cosa teme?

«Sul piano dei confronti diretti, la forza fisica di McCamey e la taglia di Legion da guardia, ma ogni discorso sugli accoppiame­nti lascia sempre il tempo che trova. Sono curioso di capire come saprà vivere una sfida così stimolante la mia squadra. Visivament­e sembriamo un gruppo da serie A, con sei giocatori di colore, invece solo due sono americani e altri quattro sono ragazzi nati e cresciuti in Italia: Udom, Ikangi, Nwohuocha e Dieng, il più anziano è del ’93. Il futuro è questo».

La partita di Trieste di domenica scorsa l’ha vista?

« S ì . S or pre nde un po’ l o scarto, ma io diffido dai risultati di ottobre. Della Fortitudo, per tutto quel che ha passato nei mesi scorsi, vorrei riparlarne tra un mese. Poi per la promozione è molto difficile che si scappi da queste due. Anche se resta da capire come sarà Treviso, col secondo americano e Fantinelli sano, e ad Ovest Casale è sempre solida».

L’anno scorso a Ovest c’era Biella, sembrava fortissima ma l’avete eliminata subito.

«Fu il picco di una stagione o n d i va g a , ma s p e n d e mmo troppo e ne pagammo il prezzo contro Ravenna. Intendiamo­ci, la Virtus la promozione l’ha stramerita­ta, ma noi gli abbiamo spianato la strada, creandole un bel corridoio. Questa formula folle è così, basta un niente e ti salta per aria il lavoro di un anno».

È stato alla Fortitudo vent’anni fa, e ci ha già giocato contro tante volte…

«Si, ma mi sento come se avessi un tatuaggio virtuale, che ti resta sulla pelle per sempre. La Fortitudo è la Fortitudo. Come certe passioni, o certi amori: impossibil­e spiegarli. Sono così e basta».

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