UNA LIBERTÀ USATA MALE
Una minorenne denuncia di essere stata stuprata. Un parroco, su Facebook, commenta duramente e scurrilmente, senza sentimenti di pietà per la vittima. C’erano, nel suo post, elementi di denuncia sociale, inviti a una maggiore attenzione e a una riflessione? Sì, forse, ma celati in un testo che lascia allibiti per linguaggio, sostanza e mancanza assoluta di empatia, da essere quindi resi marginali, con effetti controproducenti non solo per il religioso, ma anche per la Chiesa. Non stupiscono le scuse e una sorta di ritrattazione tanto poco sentita quanto tardiva: i buoi digitali se ne erano già andati. Sui contenuti, non c’è molto da dire, parlano da soli. Sulle modalità di uso dei social network, qualcosa di più può essere rilevato. L’uso poco accorto della Rete non è prerogativa del parroco bolognese. Casi di cronaca, anche locale, vicini e lontani nel tempo, dimostrano continuamente come non ci si renda conto delle conseguenze di quello che si può pubblicare in internet, e dei danni che, per sé e per altri, si possono provocare in pochi secondi. Certo, se stupisce relativamente quando l’autore sia un minorenne o una persona sprovvista di strumenti culturali adeguati, e ancora meno quando l’autore sia anonimo, si dovrebbe rimanere sbalorditi quando l’autore sia una persona investita di una responsabilità spirituale ed educativa. Invece, accade spesso, come è accaduto a politici, magistrati e altre categorie che hanno responsabilità sociali e conoscenze adeguate.
I meccanismi propri della comunicazione (e della «vita» stessa) on-line, facilitano per tutti effetti di disinibizione che, in sé, può essere sia positiva sia negativa. La maggiore libertà nell’esprimerci ci può portare verso mete diverse. Purtroppo, la destinazione sbagliata è molto più frequente e, naturalmente, specie quando il viandante ha un ruolo pubblico, fa più notizia. Non solo: sembra ci sia una gara a chi ci arriva prima e a chi lo fa nel modo più rumoroso e aggressivo. Alla base, una duplice convinzione, una più sbagliata dell’altra: che in internet vigano regole (giuridiche, ma anche etiche, o semplicemente di buona creanza) diverse, e che si possa poi comunque intervenire, rimediando.
Il problema principale, ormai, non è più quello di educare le persone a un uso consapevole della Rete. Ma far sì che l’uso comune della stessa non porti con sé, anche nei rapporti personali e sociali off-line, gli stessi difetti, tra maleducazione, desiderio di sopraffazione e assuefazione.