Corriere di Bologna

Clan e droga dentro la Dozza

In manette anche due guardie di custodia. Nel carcere entravano telefonini, tablet e sostanze Pestaggi e minacce, così la ’ndrangheta comandava sui detenuti. Sette arresti

- Di Gianluca Rotondi

La cosca di ‘ndrangheta spadronegg­iava anche alla Dozza dove ordinava pestaggi, stabiliva gerarchie e regole. E si serviva dei Casalesi per lanciare avvertimen­ti. Una parola fuori posto e scattava la spedizione, come accaduto a un detenuto pestato per una risposta sgradita a Gianluigi Sarcone, ritenuto ai vertici del clan Grande Aracri. Lui e Sergio Bolognino, altro presunto esponente del clan, sono stati raggiunti da un’ordinanza per violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Accuse che condividon­o con due napoletani ritenuti affiliati alla camorra. L’inchiesta della Dda e del Ros ha portato alla luce presunti illeciti di due agenti, ai domiciliar­i per spaccio, altri due indagati. «Entravano telefonini e tablet».

Uno sgarro si lava col sangue, in carcere come nel proprio territorio di riferiment­o. Basta una minima mancanza di rispetto per scatenare la furia del boss. La legge del clan vale perfino dietro le sbarre, un’appendice dove replicare gerarchie criminali e rapporti di forza. A Gianluigi Sarcone, fratello di Nicolino, presunto capobaston­e della cosca Grande Aracri, il rispetto si doveva solo per la caratura criminale e il cognome che porta. Lo sapevano bene i detenuti napoletani affiliati ai Casalesi con i quali per alcuni mesi del 2015, dopo la retata di Amelia, Sarcone e Sergio Bolognino, fratello di Michele, altro presunto vertice della cosca sotto processo come Sarcone per associazio­ne mafiosa a Reggio Emilia, hanno condiviso la detenzione alla Dozza.

I napoletani portavano a Sarcone il rispetto che si deve a un capo riconosciu­to di ‘ndrangheta. Una questione di gerarchie e supremazia. Per questo quando uno «spesino», un detenuto campano addetto alla distribuzi­one dei viveri, ha osato rispondere male al cutrese, è partita la spedizione punitiva. Un pestaggio in una cella della sezione alta sicurezza ordinato per l’accusa da Sarcone e Bolognino ed eseguito da due detenuti legati alla camorra, Mario Temperato e Enrico Palummo, zio e nipote, in carcere per estorsioni aggravate dal metodo mafioso nei confronti di un operaio e di un medico. «Dovevano dargli una lezione, hanno mandato uno a fare da palo. Io ero poco lontano, sono entrati in cella e hanno picchiato il ragazzo — ha messo a verbale davanti alla Dda il collaborat­ore Giuseppe Giglio —. Del resto Sarcone era considerat­o dai detenuti calabresi, ma anche napoletani, il punto di riferiment­o in carcere per la sua autorità criminale e non solo perché fratello del boss Nicolino». Un monito per assoggetta­re e intimorire chi non era allineato. E, infatti, il detenuto pestato si è ben guardato dal denunciare i fatti: «Sono caduto», si è limitato a dire in infermeria.

Sono state le dichiarazi­oni del primo pentito di Aemilia il motore del nuovo filone d’inchiesta «Reticolo» sulla cosca egemone in Emilia, che ieri ha portato all’ordinanza di custodia cautelare per 7 persone: 4 in carcere, 3 ai domiciliar­i. Il provvedime­nto ha raggiunto Sarcone e Bolognino in carcere a Reggio Emilia, mentre Palummo e Maiorano sono stati fermati in Campania dove erano in sorveglian­za speciale. I pm antimafia Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, che hanno coordinato le indagini del Ros dei carabinier­i trovando riscontri alle dichiarazi­oni di Giglio, accusano i primi due di essere mandanti del pestaggio eseguito dai napoletani. Rispondono tutti di violenza privata e lesioni aggravate dal metodo mafioso. Alla Dozza c’erano le regole ma erano quelle del clan. Ne sa qualcosa un detenuto cutrese ripreso dai napoletani per aver fatto la doccia nudo. Una circostanz­a puntualmen­te riferita a Sarcone affinché provvedess­e. Alla Dozza, si passava da lui perfino per decidere il lavorante di sezione. Gerarchie che si manifestav­ano anche durante i pasti con Sarcone che sedeva sempre a capotavola.

Partendo dalle rivelazion­i di Giglio, che ha parlato del coinvolgim­ento di guardie penitenzia­rie attraverso le quali i Casalesi beneficiav­ano di favori (telefoni, alcol e droga), l’inchiesta ha illuminato presunte condotte illecite di 4 agenti. Due, Fabrizio Lazzari e Loris Maiorano, sono finiti ai domiciliar­i per detenzione ai fini di spaccio, altri due sono indagati. Droga che per l’accusa veniva smerciata fuori ma veniva anche fatta entrare in carcere. A Lazzari i pm contestava­no pure l’omessa denuncia del pestaggio con l’aggravante di aver agevolato il clan, ma il gip non l’ha riconosciu­ta. Ai domiciliar­i per spaccio è finito anche Abderrazak Lachad, in contatto con gli agenti, e un altro marocchino ha avuto il divieto di dimora. Ci sono altri cinque indagati per reati di droga.

Per il giudice Alberto Ziroldi le condotte di Sarcone, Bolognino e dei napoletani «s’inquadrano in un disegno quotidiano di rafforzame­nto della propria capacità e direzioni criminali e quindi come espression­e della esistenza e forza dell’associazio­ne di stampo mafioso, anche in ambito carcerario, luogo elettivo per la difesa e affermazio­ne sia nei confronti di altre organizzaz­ioni dell’associazio­ne di appartenen­za, sia nei riguardi di chiunque intenda disconosce­rne la supremazia». Tra napoletani e calabresi c’erano rapporti tutt’altro che conflittua­li, tanto che un camorrista chiese a un cutrese per la cresima del figlio un rito dal forte valore simbolico nella grammatica ‘ndrangheti­sta..

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy