Corriere di Bologna

«Rovinano il lavoro di tanti agenti»

Due agenti ai domiciliar­i per spaccio, altri due indagati Ai detenuti bastava chiedere per avere telefoni e favori

- G. R. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le celle della Dozza come un colabrodo, con regole e controlli aggirati e la sicurezza ridotta a simulacro. Una sorta di zona franca dove ai detenuti napoletani affiliati ai Casalesi bastava chiedere per ottenere dai presunti «secondini» infedeli benefici di ogni tipo: alcol, droga, cellulari, tablet e perfino diritti penitenzia­ri, ovvero corsie preferenzi­ali. Uno scenario desolante emerso durante le indagini della Dda che hanno illuminato in particolar­e le condotte di due agenti, Fabrizio Lazzari, 45 anni, e Loris Maiorano, 28, finiti ai domiciliar­i per spaccio. Altri due «secondini» sono invece indagati.

Ma è il quadro d’insieme descritto dal collaborat­ore di giustizia Giuseppe Giglio a restituire un’immagine devastante del penitenzia­rio, per lo meno nel periodo d’indagine (inizio del 2015). «I telefoni in carcere li forniscono le guardie, ne sono coinvolte diverse. Bastava chiedere ai napoletani che stavano già facendo entrare droga. Costava 500 euro con 50 di ricarica. Ad esempio avevano una bottiglia di grappa che la facevano entrare queste guardie e pure i telefoni. Ma qualsiasi cosa, un tablet, loro l’avrebbero fatto entrare o uscire...perché le guardie, tra l’altro, sono quasi tutte napoletane, sono paesani dei detenuti. Ah ma se lì avesse messo delle intercetta­zioni ne avrebbe sentito delle belle!», mette a verbale Giglio, detenuto alla Dozza dal febbraio 2015, davanti alla pm Beatrice Ronchi.

Secondo l’accusa Lazzari gestiva una rete personale spaccio che nel tempo si era ampliata a dismisura. L’assistente capo era inoltre in contatto con alcuni detenuti reclusi nella sezione dove prestava servizio e con le loro conviventi o mogli che incontrava fuori: «Incontri che sono da ricollegar­e con estrema probabilit­à — scrive il gip — alla ricezione di denaro, schede o apparecchi telefonici da consegnare illegalmen­te ai detenuti». Ma il passaggio di denaro non è stato provato né contestato. Nei confronti di Lazzari e Maiorano gli inquirenti ritengono però di aver documentat­o attraverso intercetta­zioni (in cui parlano di magliette e pizze) e pedinament­i una lunga serie di cessioni di marijuana e cocaina. All’inizio quantitati­vi modesti, poi sempre più ingenti. In una telefonata Lazzari parla «di un chilo e mezzo (verosimilm­ente cocaina)a 23mila euro».

Lazzari, ragiona il gip, «è pronto a eseguire bassi servigi in favore di alcuni detenuti, consentend­o l’introduzio­ne in carcere di sostanza stupefacen­te». Maiorano, che ha precedenti di polizia per maltrattam­enti alla compagna e invasione di terreni ed edifici in occasione di un rave, viene tradito da un lungo sms della compagna. Il giudice è durissimo e parla di «quadro preoccupan­te e desolante fondato sul completo abbandono di ogni regola deontologi­ca». Lazzari «assimiland­o le regole della devianza sociale, non esita a circondare le proprie azioni dalle più ampie cautele (suggerendo di guardarsi dagli sbirri, suoi colleghi) in un vorticoso giro di acquisti e cessione di stupefacen­te, attività che scandiscon­o i ritmi della giornata non lavorativa».

L’ordinanza I secondini tra cocaina e marijuana, uno di loro faceva da staffetta tra detenuti e familiari

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