Deflorian/Tagliarini Il teatro delle «Cose»
Deflorian/Tagliarini oggi allo spazio Freak Andò con «Cose». Martedì all’Arena del Sole con «Il cielo non è un fondale»: «Nelle minuzie si scopre il mondo»
In continua ricerca, immersi nel «mistero dello spettacolo dal vivo», nella missione di «renderlo più vivo che mai». Forti di concretezza di pensiero e di presenza fisica, tornano a Bologna Daria Deflorian e Antonio Tagliarini.
Oggi il duo si muove nello Spazio Freak Andò di Castel Maggiore, nell’elegante groviglio colorato di oggetti di design e antiquariato (performance per un massimo di 30 spettatori alle 17.30, alle 19 e alle 21 su prenotazione). Da martedì alle 21 invece, e fino al 26 novembre, saranno in scena all’Arena del Sole con il nuovo spettacolo prodotto da Ert (insieme ad altre realtà internazionali) Il cielo non è un fondale. Il debutto è accompagnato da un incontro informale nel foyer e da una conversazione con gli artisti sabato 25 novembre. Questo spettacolo è un viaggio in forma di sogno sulla realtà ai margini delle metropoli che si avvale anche di canzoni di Dalla, Mina, Battisti e altri cantautori. È candidato al Premio Ubu come spettacolo dell’anno e come miglior allestimento scenico firmato da Gianni Staropoli e miglior progetto sonoro realizzato da Monica Demuru. Demuru e Deflorian, infine, sono finaliste nella categoria «migliore attrice».
Raggiungiamo Daria Deflorian a Parigi, dove insieme a Tagliarini, stanno già lavorano in residenza al prossimo spettacolo, «una personalissima e travisatissima» versione di Deserto rosso di Michelangelo Antonioni, ancora sostenuti da Ert. E dal parigino Festival d’Automne.
Iniziamo, dall’incursione a Freak Andò: come si svolge?
«Portiamo il nostro spettacolo Cose, ma in una dimensione più intima. È una performance per un massimo di 30 persone. C’è un’altra fisicità con il pubblico, condividiamo delle cose».
Quel luogo è colmo di oggetti: utilizzate anche quelli?
«No, apriamo i nostri scatoloni con i nostri oggetti, ma il luogo è perfetto. Cose sta bene in una galleria d’arte. Freak Andò ce l’ha proposto Elena di Gioia per la rassegna Agorà e ne siamo stati entusiasti».
Infatti, «Cose», come il vostro «Reality» è ispirato al reportage di Szczygiel in cui si racconta della casalinga polacca Janina che ha annotato per 50 anni ogni suo piccolo gesto...
«In Reality parliamo più di Janina, qui parliamo di noi, lei è intorno. Abbiamo oggetti che non si sa mai se buttare o meno: vecchi guanti legati a un ricordo, un giocattolo con le pile che a volte funzionano a volte no. Come Janina che numerava ogni buongiorno pronunciato, noi abbiamo catalogato 300 oggetti. Tutti hanno la stessa importanza: carte di caramelle, medicinali scaduti, un triciclo».
C’è qualcosa di Janina anche in «Il Cielo»?
«Nella consapevolezza che nelle minuzie ci sono le nostre vite. Ed è il metodo utilizzato da Annie Ernaux, uno degli autori che abbiamo esplorato per lavorare allo spettacolo: attraverso spunti autobiografici, senza filtri, parla del mondo. Ma in realtà siamo partiti da un nostro spettacolo precedente». Quale? «Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni. Lì c’erano delle figure, le quattro donne greche che si sono tolte la vita. Non sarebbero state leggibili se non fosse stato chiaro lo sfondo: la crisi economica».
Ora, invece, avete messo in primo piano lo sfondo?
«Lo sfondo del teatro, che è il fondale. Per capire cosa mettere in primo piano abbiamo fatto molti tentativi, performance site specific e incontri. A noi interessa fare immaginare più che mostrare. Ci siamo accorti che c’è un rapporto continuo tra noi che siamo e quello che ci circonda».
L’idea del sogno è un espediente narrativo?
«È stata un’idea che è arrivata come una folgorazione. Abbiamo scelto di rappresentare un paesaggio urbano e di farlo attraverso il sogno». Chi abita il paesaggio? «Sono le persone per strada, quelle che noi solitamente guardiamo dalla finestra da una condizione di comodità. La fragilità dell’esistere è il tema di questo lavoro e la domanda principale che lo muove è una: Quando siamo dentro casa cosa pensiamo dell’uomo fuori sotto la pioggia?».
In caso di vittoria, questo non sarebbe il vostro primo Ubu. Che peso date ai premi?
«Noi viviamo di incontri, con altri autori o con gli spettatori. Ci piace ascoltare. I premi sono come gli applausi. Danno la carica, anche se non sono i premi che fanno andare avanti il lavoro.