Corriere di Bologna

Pace, classe e passione «Non so ancora il mio ruolo Vorrei i piedi di Verdi...»

- C. Ben. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Bruno Pace, sa che per Zigoni lei è una leggenda?

«Per la pelliccia? Ma c’era una differenza tra la mia e la sua». Quale?

«Quella di Zigoni era di coniglio, appena l’accarezzav­i i peli volavano da tutte le parti». La sua invece? «Era di lupo pregiato». Sorride di gusto. Poi. «Che grande personaggi­o era Zigo. Pensi che avrà sfasciato 4 o 5 Porsche nel giro di due anni. Gliene racconto un’altra, bellissima». Sì, ce la racconti. «A Verona andavamo sempre a mangiare alle Quattro sorelle. Una sera dopo cena ci invitò a giocare a carte a casa sua, ricordo ancora che aveva un giubbotto di jeans con una trentina di stelle, sembrava lo sceriffo di Kansas City. Arrivati a casa ci disse che sarebbe andato un attimo in camera. Passano dieci minuti niente, venti niente, dopo una quarantina ci chiedemmo se fosse morto. Andammo a vedere ed era sotto le coperte che russava. Lo svegliammo, prima ci chiese perché eravamo lì, poi ci mandò tutti a quel paese. E non vi dico quando litigava con il presidente Garonzi».

Addirittur­a, litigava anche con Garonzi?

«Quasi tutti i giorni. E che litigate! A volte temevo che potessero arrivare anche alle mani. Anche questo era Zigo». E l’altro Zigoni com’era? «Un ottimo giocatore, se ne aveva voglia. Allora era tutto un altro calcio». Lo ha sottolinea­to anche lui. «Non c’era tutto questo tatticismo, la fantasia non era imprigiona­ta come ora».

È vero che Zigoni la prendeva sempre in giro?

«Mi diceva di tutto, anche sul Bologna. Ormai era entrato nel suo personaggi­o e si compiaceva. Al di là di ciò era una persona generosa, pulita dentro, di cui ti potevi fidare». Cos’è il Bologna oggi per Pace? «È una famiglia allargata, il rosso e il blu sono due colori che mi sono rimasti addosso. Purtroppo tanti del grande Bologna se ne sono andati. Con il passare del tempo mi sono reso conto che certe mie paure di allora…». Dove vuole arrivare? «Sono discorsi già usciti, anche da altre parti. Bisognava stare attenti a quello che ci davano, c’erano i furbacchio­ni dello spogliatoi­o». Quali furbacchio­ni? «Sì, sì. Quelle pasticche che ora sono vietatissi­me, prima ne giravano tante».

Si rivede in qualcuno del Bologna di oggi?

«Avrei voluto avere il tiro e i due piedi di Verdi, ma mi assomiglia di più Di Francesco, essendo più esterno. Le faccio una confidenza: non ho ancora capito quale fosse il mio ruolo». Andiamo bene… «Giocavo dove mi portava l’estro. A volte Oronzo Pugliese mi metteva a destra, a volte a sinistra, un giorno gli chiesi perché». E cosa le rispose? «Che ero ambiguo, volendo dire ambidestro».

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