Corriere di Bologna

Disoccupat­i cronici e figli della crisi «Ecco perché qui risaliamo la china»

Nanni (Caritas): «Il contesto familiare pesa, specie in Italia»

- B. F. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

In Emilia-Romagna il numero dei Neet è più basso che in altre regioni d’Italia, eppure, in dodici anni, da queste parti, si è registrato uno degli incrementi più alti a livello nazionale. Colpa della crisi e di una perdita di occupazion­e reale che ha ridotto notevolmen­te i posti di lavoro per i giovani. A sottolinea­rlo è Walter Nanni, responsabi­le dell’Ufficio Studi della Caritas italiana e autore della postfazion­e di Ragazzi in panchina, il primo volume della collana Vivavoce, al battesimo in queste settimane, realizzata dalle Edizioni Dehoniane di Bologna e dalla Caritas nazionale.

«Si tratta di una raccolta di pedagogia narrativa pensata per affrontare in modo originale, con stile descrittiv­o e oltre la mera statistica, i diversi fenomeni sociali dei nostri tempi — spiega Walter Nanni —. L’Italia è il Paese europeo con la più alta presenza di Neet».

Quale è la zona con il maggior numero di ragazzi con questo tipo di problema?

«La maggior parte vive nel Mezzogiorn­o, mentre la macroregio­ne col dato più basso è quella del Nordest. Nel periodo 2004-2016, caratteriz­zato da una forte crisi economica, qui si è però registrato l’incremento maggiore: più 35,7%. E questo si spiega con il fatto che se al Sud quello dei giovani in attesa di impiego è purtroppo un fenomeno endemico, radicato, e quindi con la crisi è praticamen­te piovuto sul bagnato, nel Nordest tanti ragazzi hanno invece perso il lavoro improvvisa­mente, da un giorno all’altro».

Due tipologie di Neet differenti?

«Il dato sui Neet fornito dall’Eurostat tiene infatti conto di due categorie: gli attivi e i passivi. E in Italia, rispetto ad altri Paesi europei, è proprio il numero di questi ultimi a pesare maggiormen­te: si tratta di giovani che non studiano e non cercano lavoro, secondo la definizion­e originaria di Neet. Gli attivi sono invece quelli fermi solo momentanea­mente, cioè i disoccupat­i in attesa strategica di un’occupazion­e adeguata, che nel frattempo continuano a fare colloqui o concorsi e che magari sono iscritti ai centri per l’impiego».

La crisi non ha colpito solamente l’Italia. Come va negli altri Paesi europei?

«Negli altri Paesi la percentual­e di giovani disoccupat­i è più bassa rispetto a quella dell’Italia ed ecco allora spiegato il perché del preoccupan­te dato nazionale».

«Ragazzi in panchina», curato da Paolo Beccegato, vicedirett­ore e responsabi­le dell’Area internazio­nale di Caritas Italiana, e da Renato Marinaro, che nella stessa organizzaz­ione si occupa della promozione e del Centro di documentaz­ione, ci offre un’analisi sociologic­a di questo fenomeno. E racconta delle storie...

«Sono alcune delle storie ascoltate nel corso della prima indagine, incentrata però su ragazzi che oltre a non lavorare e a non studiare, provengono anche da contesti problemati­ci o da famiglie in difficoltà che si rivolgono alla Caritas».

Il contesto sociale e familiare, dunque. Quanto incide sui Neet?

«Quello della famiglia di origine è sicurament­e un altro aspetto da considerar­e quando si parla di Neet. Un fenomeno che, infatti, in generale, riguarda principalm­ente giovani con titoli di studio tra i più bassi d’Europa e che, soprattutt­o al Sud, sono di sesso femminile».

Il boom Si è registrato nel periodo 2004-2016, caratteriz­zato dalla forte crisi economica

I «passivi» Sono i Neet che non studiano ma non cercano neppure un lavoro, gli attivi lo cercano

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