Corriere di Bologna

SINDROME NIMBY E PARTECIPAZ­IONE

- di Nicola Lugaresi

Il recente «rapporto Nimby», che classifica e raccoglie le iniziative di resistenza locale alla realizzazi­one di opere di pubblica utilità, assegna all’Emilia-Romagna il secondo posto a livello nazionale. Che sia un merito o una colpa è valutazion­e soggettiva. Di Nimby (Not in my back yard) si parla perlopiù con accezione negativa, come «sindrome» che mira a paralizzar­e le iniziative di carattere generale per interessi locali: una forma di egoismo. D’altra parte, la mobilitazi­one delle collettivi­tà residenti su un determinat­o territorio può integrare principi di partecipaz­ione alla cosa pubblica da parte di soggetti che, proprio per un fattore di vicinanza, meglio conoscono la realtà in ogni suo aspetto e se ne fanno carico: una forma di altruismo.

L’effetto Nimby non è, in sé, né buono né cattivo. Può rappresent­are un’opinione aggregata, in quanto tale rispettabi­le, su un determinat­o fenomeno, nell’ambito di una determinat­a visione della società e dell’economia. Può consistere nella difesa di un territorio e di valori ritenuti in pericolo. Può essere un tentativo di tutela di interessi particolar­i o di rendite di posizione. Può prendere vita da persone visionarie o miopi. Come, del resto, le convinzion­i contrarie possono essere ugualmente egoiste o altruiste, approfondi­te o superficia­li, di ampio respiro o di orizzonte ristretto.

Quello che conta, alla fine, sono tre punti. Il primo è la valutazion­e della fattispeci­e concreta sulla base degli interessi coinvolti, pubblici innanzi tutto, ma anche privati, individuan­do la soluzione che meglio risponde alla sensibilit­à sociale. In questo senso, che collettivi­tà locali facciano emergere problemati­che specifiche sulla base della maggiore conoscenza del territorio è un fattore positivo. Il secondo punto è che le resistenze non si limitino a una paralisi immotivata di tutto quanto comporta un intervento materiale, ma che l’apporto abbia in primo luogo una valenza informativ­a e di sensibiliz­zazione. Infine occorre che il processo democratic­o non vada in corto circuito, con poche persone che vogliano, e sia loro consentito, affermare la propria volontà su quella della maggioranz­a.

Il compito dei pubblici poteri diventa allora di considerar­e questi tre profili per far sì che la decisione finale tenga conto delle resistenze, senza negarne a priori la validità e senza — al contrario — arrendersi acriticame­nte a esse. Senza applicare, pertanto, la diversa sindrome Nimto: Not in my term of office.

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