CASA DEL POPOLO «FAVOLA» DEL NOVECENTO
Debutta stasera il nuovo spettacolo del Teatro dell’Argine scritto da Bonazzi con la regia di Paolucci. In scena un’assemblea lunga cento anni che mette in luce la storia di questi luoghi di aggregazione popolare a partire dal 1916. A corollario, serate d
«C’era una volta il popolo…»: inizia come una favola il programma di Casa del popolo, il nuovo spettacolo del Teatro dell’Argine scritto da Nicola Bonazzi e allestito con la regia di Andrea Paolucci, all’Itc di San Lazzaro da oggi al 10 dicembre (lunedì e martedì pausa).
C’era una volta e non c’è più? Il concetto è un po’ quello, con qualche rifinitura. Ci racconta il regista: «L’idea ci frullava per la testa da parecchio tempo. E anche Andrea Lupo, del Teatro delle Temperie, ci stava pensando. Allora ci siamo messi insieme, e lo vedrete in scena con Micaela Casalboni e Andrea Dispenza. In tre interpretano una trentina di personaggi di una ideale casa del popolo dal 1916 a oggi, in un’assemblea che con interruzioni, incidenti, trasformazioni dura 100 anni, su una pedana di quattro metri quadrati, un’isola, una zattera in mezzo all’oceano».
Tutta la stagione dell’Itc è dedicata al concetto di popolo e di popolare, e da qui nasce lo spunto per lo spettacolo: «Le Case del popolo erano luoghi particolari, di coesione sociale, costruiti ex novo con fatica pietra su pietra, luoghi di politica e di socialità, spazi del “noi”. Oggi sono ridotte, con i loro balli, tombole, bingo ed eventuali ludopatie, a poco più che grandi bar, a parcheggi per “io” anziani che vi si ritrovano. Spesso i circoli Arci ne hanno assunto alcune funzioni, ma perso quella fondamentale di piazza coperta, di luoghi per incontrarsi e discutere».
Lo spettacolo narra quindi la storia di uno di questi luoghi dagli inizi ‘900 a oggi, attraverso la guerra, l’espropriazione del fascismo che le trasforma in Case del fascio, la ripresa dopo l’altra guerra, gli anni del boom, l’altra espropriazione dei governi democristiani che le accusano di non pagare le tasse. L’assemblea continua, con momenti anche comici, che non nascondono però le magagne, ed è interrotta di tanto in tanto da monologhi o voci che danno corpo ai pensieri, alle riflessioni, fino a interrogarsi su quali luoghi oggi possano assumere la vecchia funzione: «Forse – conclude Paolucci – sono i centri sociali o situazioni come Labàs, o perché no? - i teatri».
È uno spettacolo agile, trasportabile: «Non possiamo sempre fare progetti di bellezza partecipata con centinaia di ragazzi in scena, come Futuri maestri, che ha vinto il premio dell’Associazione nazionale critici ed è in finale a Rete critica e agli Ubu.Questo è un lavoro leggero».
Nei fine settimana sarà condito da attività da Casa del popolo: tombole, lezioni di filuzzi, tornei di briscola.