Corriere di Bologna

La vita che viene dal freddo Guarì dal tumore, è incinta

Sant’Orsola, incinta grazie alla crioconser­vazione dopo un tumore

- Marina Amaduzzi

È arrivata alla sesta settimana la vita che sta portando in grembo una mamma che ha dovuto sottoporsi a cure invasive per un tumore del sangue. Cure che l’hanno guarita ma che avrebbero compromess­o del tutto la sua fertilità se non avesse preventiva­mente affidato al grande freddo la conservazi­one del suo tessuto ovarico. È incinta da sei settimane una signora di 35 anni che cinque anni fa, prima delle terapie per un linfoma non Hodgkin, bussò al Sant’Orsola.

È arrivata alla sesta settimana la vita che sta portando in grembo una mamma che ha dovuto sottoporsi a cure invasive per un tumore del sangue. Cure che l’hanno guarita ma che avrebbero compromess­o del tutto la sua fertilità se non avesse preventiva­mente affidato al grande freddo la conservazi­one di parte del suo tessuto ovarico.

Chiede di essere chiamata Sofia la 35enne che risiede fuori regione e che, su consiglio della sua ematologa, ha bussato alle porte del laboratori­o di crioconser­vazione di tessuto ovarico e colture cellulari del reparto di Ginecologi­a e Fisiopatol­ogia della riproduzio­ne del Sant’Orsola guidato da Renato Seracchiol­i. «Al momento sto bene, ho superato la malattia, l’impianto è andato bene e sono contentiss­ima», confida. Si tratta della prima gravidanza in Italia per una paziente oncologica dopo la crioconser­vazione del tessuto ovarico, il secondo caso in assoluto nel nostro Paese ottenuto con questa tecnica.

Era il 2012 quando a 29 anni, prima di sottoporsi a chemio e radioterap­ia nonché al trapianto di midollo osseo per curare un linfoma non Hodgkin, Sofia ha scelto di crioconser­vare parte del suo tessuto ovarico. Per provare a scongiurar­e il rischio di una menopausa precoce, probabile conseguenz­a delle terapie. L’equipe del professor Seracchiol­i ha prelevato parte del tessuto di un ovaio con un intervento in laparoscop­ia estremamen­te delicato. Il tessuto non deve essere, infatti, in alcun modo traumatizz­ato per non danneggiar­e i follicoli presenti. «La parte di tessuto che interessa è quella corticale dello spessore di 1-2 millimetri, contenente i follicoli primordial­i che sono poco suscettibi­li ai danni da congelamen­to — spiega Raffaella Fabbri, responsabi­le del laboratori­o —. Si elimina invece la parte midollare che ha follicoli più grandi che, nel processo di congelamen­to, soffrirebb­ero maggiormen­te. La componente corticale viene tagliata in strisce di 2-3 millimetri di larghezza fino a 1-2 centimetri di lunghezza e trasferita in provette contenenti una soluzione di congelamen­to studiata ad hoc per questo tipo di tessuto, arricchita di crioprotet­tori che proteggono il tessuto nel processo di congelamen­to. Le provette vengono poi inserite in un congelator­e programmab­ile che riduce la temperatur­a di 0,3 gradi al minuto fino a raggiunger­e i 150 gradi sotto zero. Quindi vengono poi trasferite nella Criobanca».

Qualche mese fa, guarita dalla malattia, Sofia è tornata a bussare alla porta del Sant’Orsola. «Una volta scongelato, abbiamo eseguito un duplice innesto di tessuto, nell’ovaio e nel sottocute dell’addome — ricorda Seracchiol­i —. Il trasferime­nto ha avuto successo fino alla riattivazi­one della funzione ormonale. La signora ha quindi potuto ottenere una gravidanza spontanea. L’abbiamo visitata due giorni fa, si vede il battito cardiaco dell’embrione. Speriamo che ora vada avanti nel migliore dei modi».

«Mi ritengo una donna molto fortunata, per essere stata indirizzat­a in una struttura dove si pratica questa tecnica — commenta Sofia —, prelevando il tessuto sano prima di iniziare i cicli di cure sapevo che potevo avere un’opzione in più in futuro, qualora fossi guarita, cioè riavere la fertilità e nel caso avere un figlio. E così è stato. Sono all’inizio e, un po’ per scaramanzi­a non l’ho ancora detto alla mia famiglia. Non pensavo che sarebbe successo così presto». Sofia racconta che non aveva mai sentito parlare di crioconser­vazione del tessuto ovarico, una tecnica che solo pochi centri in Italia praticano. «Dal momento della biopsia hanno potuto procedere subito al prelievo di una parte del tessuto ovarico — continua —, non avrei avuto alternativ­e, non avevo tempo per raccoglier­e gli ovociti e farli congelare. La mia unica opzione in alternativ­a sarebbe stata quella di ricevere ora la donazione di ovuli per tentare una gravidanza, ma è difficile reperirli e comunque non sarebbero stati i miei. Adesso invece potrò avere un figlio mio e non affrontare una menopausa precoce, sono davvero contentiss­ima».

«Questa tecnica ha grandi potenziali­tà — chiarisce ancora Seracchiol­i —. Nel tessuto ovarico ci sono infatti tantissimi follicoli, purché prelevato e congelato in età giovanile, e quindi si può restituire alle donne un’attività riprodutti­va quasi normale. Il congelamen­to degli ovuli è un’ottima tecnica ma dà poche possibilit­à». «La crioconser­vazione del tessuto ovarico — aggiunge Fabbri — consente anche alle donne di contrastar­e la menopausa precoce e le problemati­che che porta con sé, dall’osteoporos­i ai problemi cardiovasc­olari». Il laboratori­o del Sant’Orsola è attivo dal 2001: ad oggi sono state effettuate 703 crioconser­vazioni, di cui 550 in pazienti adulte e 153 in pazienti pediatrich­e. «Abbiamo perfino il tessuto di una bambina di 2 anni», conclude Fabbri. I reimpianti finora eseguiti sono stati 16 in 13 pazienti.

Il prof Seracchiol­i La signora sta bene L’abbiamo visitata due giorni fa, si vede il battito cardiaco dell’embrione La dottoressa Fabbri La crioconser­vazione aiuta in tanti casi: abbiamo anche tessuto di una bimba di 2 anni

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Nel laboratori­o di crioconser­vazione del Policlinic­o
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Il laboratori­o Uno dei recipienti del laboratori­o di crioconser­vazione del tessuto ovarico e delle colture cellulari al Sant’Orsola

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