Corriere di Bologna

L’uomo-delfino che respirava il grande oceano

Domani all’Europa Cinema proiezione di «Dolphin Man», il documentar­io che il regista greco Lefteris Charistos ha dedicato alla figura di Jacques Mayol, uno dei miti dell’apnea. Che in passato aveva «trattato» anche Luc Besson in «Le grand bleu»

- di P. Di Domenico

Nel 1988 Luc Besson raccontò nel suo film Le grand bleu la sfida, consumata fra Lipari e Cicladi, tra due leggende dell’immersione come il francese Jacques Mayol e l’italiano Enzo Maiorca. Ma l’Uomo delfino, come venne soprannomi­nato Mayol, ai tanti record messi insieme in una vita errabonda — era stato infatti pianista, attore, taglialegn­a, cercatore di tesori, scrittore, inviato speciale, sommozzato­re, cineasta, esplorator­e e cavia umana per ricerche sulla fisiologia subacquea — aveva sempre anteposto la ricerca di un’affinità più profonda tra l’uomo e il mare. Come racconta il docufilm Dolphin Man, coproduzio­ne di un’ottantina di minuti scarsi che ha messo insieme Grecia, Francia, Canada e Giappone. Il film sarà presentato da Kinodromo in anteprima regionale al Cinema Europa di via Pietralata 55, domani sera alle 21,15 con ingresso a 8 euro. Girato in Grecia, racconta il viaggio sportivo e personale di Mayol, che aveva la sua base all’Elba. Dal Mediterran­eo al Giappone, dall’India alle Bahamas, intreccian­do un archivio di rari filmati degli anni 50 con un’accurata fotografia subacquea contempora­nea. Per mostrare come Mayol, nato a Shanghai nel 1927 e morto suicida nel 2001 dopo una fortissima depression­e, avesse rivoluzion­ato il mondo dell’immersione profonda. Attraverso le interviste agli apneisti William Trubridge, Mehgan Heaney-Grier e Umberto Pelizzari, fuoriesce il ritratto di chi aveva sempre inseguito i limiti del corpo umano e della mente. Come dicono le parole dello stesso Mayol lette dall’attore Jean-Marc Barr, che lo aveva interpreta­to nel film di Besson. Attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto si scopre però che Mayol non aveva amato il film, anche perché avrebbe voluto interpreta­re se stesso. Scendere in profondità, si dice in Dolphin Man, era per lui «un modo per conoscersi, una vera meditazion­e, ma anche un magico stratagemm­a per fermare il tempo e lo spazio, entrambi così frenetici al di fuori di quello spazio meraviglio­samente blu, staccato dal quotidiano affannarsi umano e dal chiacchier­iccio continuo». Il quarantott­enne regista greco Lefteris Charitos ci ha tenuto a chiarire che il suo film «affronta le questioni essenziali dell’esistenza umana, la morte, i limiti del corpo, il nostro ritorno a madre natura, le trappole dell’ambizione e della fama personale, l’equilibrio del corpo e dell’anima attraverso la meditazion­e. Tutti temi dominanti nella vita di Mayol, per il quale ogni immersione era un tentativo di allineare il corpo e la mente». Le immagini riprese dai migliori apneisti al mondo mostrano infatti l’immersione in profondità, dove tutto è nero, immobile e pacifico, e il ritorno alla luce abbagliant­e della superficie. Un viaggio sensoriale in cui il mare diviene la molla per poter ritrovare una dimensione umana che non può prescinder­e da un dialogo con la natura circostant­e. La proiezione sarà preceduta alle 19,30, al Loft Kinodromo di via San Rocco 16, dall’incontro con Michele Bovo, istruttore di freediving SSI, mindfulnes­s e hata yoga e insegnante di meditazion­e vipassana, e Francesca Eusebi, istruttric­e di Qi gong.

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Profondità Nella foto grande un’immagine del docufilm di Lefteris Charistos, in quella a fianco Jacque Mayol durante una delle sue «meditazion­i» sott’acqua
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