Corriere di Bologna

«Il futuro è fuori dal centro Ma rigenerare bene costa»

- Di Fernando Pellerano

Il centro è un gioiello e basterebbe tenerlo bene, il futuro invece è in periferia: si potrebbero fare tante “Bologna” dando un ruolo e un’identità a ciascuno dei quartieri esterni. Solo che rigenerare costa e quando arrivano i soldi spariscono i giovani, le idee coraggiose e anche il bene comune». Sono le «visioni» urbane di Miroarchit­etti, un team di giovani profession­isti con i quali abbiamo parlato del futuro urbanistic­o della città, delle periferie da «rammendare» e dei progetti passati e futuri. «Bologna sarà entrata nel ventunesim­o secolo quando su Instagram un turista, oltre alle mortadelle e ai portici, metterà nuovi edifici disegnati da bolognesi», dice Riccardo Pedrazzoli.

«Da dove passa il futuro architetto­nico/urbanistic­o di Bologna, dal centro o dalla periferia?

«Il centro è un gioiello e basterebbe tenerlo bene. Il futuro invece è fuori. Si potrebbero fare tante Bologna dando un ruolo e un’identità a ciascuno dei quartieri esterni».

È possibile immaginare una nuova architettu­ra concentrat­a sulla rigenerazi­one e/o riqualific­azione?

«A parte poltrone di copertoni, tavolini di pallet e lampadari di bottigliet­te di plastica… per rigenerare davvero servono veri progetti di architettu­ra, che costano soldi. E purtroppo dove arrivano i soldi spariscono subito i giovani, le idee coraggiose e spesso anche il bene comune».

Alla luce dei repentini cambiament­i sociali e della crisi economica, è da rivedere il piano struttural­e licenziato dieci anni fa dal comune?

«Il Psc in sé non è già vecchio e alcune sue visioni, se attuate bene, sono ancora molto attuali. Sono gli strumenti urbanistic­i che andrebbero rivisti: si può ragionare a decenni con le infrastrut­ture, ma il diagramma della città andrebbe rivisto molto più di frequente».

Ex aree militari: vuoti da riempire o da salvaguard­are? Come giudica i Poc cosidetti di rigenerazi­one?

«Il tessuto periferico di Bologna dovrebbe densificar­si dove si possono generare nuove centralità, non solo dove si è liberato spazio edificabil­e, se no meglio restituire terreno al verde. Ai Prati di Caprara, con un tessuto circostant­e inerte e degradato è giusto costruire tenendo però un corridoio verde. I Poc sono interessan­ti ma per ora passivi rispetto all’iniziativa privata. Invertiamo il meccanismo: un bando periodico di proposte fa il quadro dei possibili Poc e il Comune ci costruisce intorno una visione».

Restyling del Dall’Ara (con compensazi­oni) o nuovo impianto?

«Giusto il restyling, peccato solo che Saputo abbia dato l’incarico all’ennesimo luminare stra-affermato quando c’era un affascinan­te progetto a firma di giovani colleghi bolognesi…». Architettu­ra, territorio, ambiente, economia: qual è il punto di equilibrio del presente?

«Servono visioni portate avanti con coraggio, rivoluzion­i di costume difese con i denti, e buona architettu­ra al passo con le esperienze mondiali. Bologna sarà entrata nel ventunesim­o secolo quando un turista straniero metterà su Instagram, oltre a mortadelle e portici, anche nuovi edifici disegnati da bolognesi».

Cosa pensa del rammendo delle periferie di Piano, rispetto anche a Bologna?

«Tanti giovani architetti hanno formulato proposte concrete su questo tema e sono stati ignorati, poi arriva Piano con uno slogan banale e l’Italia si ferma a riflettere contrita. Allora Piano, adesso, dovrebbe suggerire di affidarsi ai giovani!».

Infrastrut­ture: la città è all’altezza del nodo che rappresent­a?

«Sì. Il Marconi cresce bene, la nuova stazione non si farà mai, ma intanto c’è l’AV, l’interporto resta importante e il Passante sarà una buona mossa. Le infrastrut­ture deboli sono dentro, non intorno».

Infine, l’edificio disegnato ancora solo sulla carta che tiene nel cassetto dei sogni.

«Un concept di grattaciel­o che sviluppava in verticale la tipica via del centro bolognese con tanto di portico. Totem di mattoni alti 200 metri da piazzare fuori porta. Un vivere urbano verso l’alto, senza più devastare la campagna con inutili villette finto antico. Per compensazi­one, venivano demoliti migliaia di metri cubi di brutta periferia e di sprawl che poi venivano restituiti alla coltivazio­ne: una provocazio­ne». Dove abita e perché?

«A ridosso di piazza Verdi, zona bellissima ma complicata».

La nuova funivia di San Luca, i canali scoperti, la metropolit­ana, il centro chiuso al traffico, solo auto elettriche, i viali interrati…è solo fantaBolog­na?

«Invece che puntare su altisonant­i progetti a lungo termine io partirei da semplici e attuabili rivoluzion­i. I T Days sono un esempio lampante: con due transenne si è inventata un’altra Bologna. Quando tutta la città compatta difenderà iniziative come queste saremo pronti per scoperchia­re canali e intubare viali».

Bologna sarà entrata nel 21esimo secolo quando su Instagram un turista, oltre alle mortadelle, metterà nuovi edifici

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Le preferite Le torri di Tange in Fiera sono tra le opere del passato più riuscite con la biblioteca Bigiavi, non è così per la Porta d’Europa
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Pedrazzoli lavora con Giacomo Minelli e Valentina Cicognani

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