«Il discorso del Re» e non solo Con l’esercizio, la fiducia e l’arte si addomesticano le parole
Il ruolo del logopedista nel trattare i disturbi del linguaggio A Faenza la sede del corso di laurea dell’Alma Mater
Genovese Si pensa che la nostra sia un’attività improvvisata, in realtà è basata su evidenze scientifiche. Percorsi per ogni singolo paziente
Niente farmaci né attrezzi, ma solo esercizi, manovre specifiche e il giusto livello di fiducia con il paziente. Ecco cosa c’è alla base della logopedia, branca della medicina che si occupa della prevenzione, della valutazione e del trattamento dei «disturbi del linguaggio orale e scritto e della comunicazione in generale». A sottolinearlo è la dottoressa Valentina Genovese dell’Ausl Romagna, responsabile delle attività didattiche e professionalizzanti del corso di laurea in Logopedia dell’Università di Bologna, nella sede di Faenza. «I pazienti di un logopedista — spiega —, sono persone con un’età varia, da quella evolutiva all’età geriatrica».
Nell’immaginario collettivo, la figura del logopedista ha le sembianze di Geoffrey Rush, l’attore australiano protagonista, nei panni del terapeuta Lionel Logue, della fortunata pellicola Il discorso del Re. Nel film, Giorgio VI riesce a sconfiggere la balbuzie soprattutto grazie alla musica. Basta davvero così poco? «Il film in alcune cose è verosimile, in altre meno — risponde l’esperta —. La gente pensa che il logopedista sia una figura improvvisata, ma in realtà la sua è un’attività che si basa su evidenze scientifiche. Alcune teorie affermano comunque che la musica può essere utile per alcuni pazienti, però il trattamento deve essere sempre personalizzato. La musica da sola non basta».
Le patologie di cui si occupa un logopedista «vanno dai più semplici disturbi del linguaggio o dalle difficoltà articolatorie ai più complessi problemi derivanti da eventi traumatici, come incidenti stradali, ictus o emorragie cerebrali, che inficiano la funzione del linguaggio». Non solo balbuzie, dunque. Per aiutare al meglio i propri pazienti, il logopedista utilizza quindi diverse tecniche e zero medicinali. Talvolta, al massimo, può essere richiesto l’utilizzo delle mani. «Dipende dal tipo di patologia che ci si trova ad affrontare — dice ancora Genovese —. Le tecniche particolari per i bambini autistici sono infatti diverse da quelle per pazienti con disturbi della voce o con difficoltà negli apprendimenti». Qualche esempio? «Coi bambini che non parlano correttamente vengono svolti degli esercizi specifici per fargli capire come posizionare gli organi fono-articolari per un determinato suono. Oppure, per chi ha disturbi relativi alla voce, se ne fanno altri per imparare a respirare correttamente e ad avere la giusta coordinazione pneumo-fonica».
Fondamentali per ottenere i risultati sperati sono però anche altri due fattori: la fiducia reciproca e i «compiti a casa». «Il lavoro del logopedista è in parte basato sugli esercizi e in parte sulla relazione che si crea col paziente — conclude Genovese —, per fargli capire quanto questi siano importanti anche fuori. Altrimenti ogni sforzo rimane fine a se stesso». Di supporto infine per altre figure sanitarie e per le problematiche anche legate alla deglutizione, come la disfagia, ogni terapia individuata dal logopedista, caso per caso, parte comunque da una valutazione preliminare. «Proprio come avviene nel film».