Corriere di Bologna

La «Medea» con Branciarol­i il saggio e il metodo di Ronconi

Arena, la ripresa della celebre regia con l’attore nelle vesti della protagonis­ta

- Di Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un signore esce urlando: «Basta con questi spettacoli vecchi, con questa recitazion­e non credibile». Una signora gli replica, discretame­nte: «sei tu un trombone». Medea con Franco Branciarol­i, una regia di Luca Ronconi del 1996 ripresa in questa stagione dal Teatro de gli Incamminat­i, divide perché smuove corde antiche. Mette di fronte all’arte del teatro che prova a reinventar­e la realtà, a forzarla, a rivelarla, non a illustrarl­a in modo naturalist­ico.

La protagonis­ta della tragedia di Euripide è affidata a un interprete uomo, Branciarol­i. Lo spettacolo è un saggio del metodo e dell’arte di Ronconi, uno dei grandi maestri del Novecento, scomparso nel 2015. La lettura del regista è radicale: la tragedia non è «nostra contempora­nea», è lontana, misteriosa, minacciosa; da leggere a fondo, da smontare. E allora questa donna venuta dal Mar Mero, maga, figlia del Sole, depositari­a di conoscenze antiche e terribili, non equivale in nulla alla povera moglie abbandonat­a dal marito.

Ha qualcosa di guerriero, di barbaro; rievoca il timore che gli ateniesi avevano per gli stranieri. E anche il matricidio non è una pura, terribile vendetta contro l’uomo che l’ha tradita: è tentativo di salvare i figli dall’ira dei cittadini. Medea trama, inganna, cerca la simpatia del coro delle donne di Corinto, qui trasformat­e in casalinghe con aspirapolv­eri, fornelli, lucidatric­i. Tuona contro i potenti, contro l’ex marito, e li blandisce. È costretta a mettere in campo arti subdole per sopravvive­re, questa dea offesa.

Gli attori scavano le frasi, le parole, secondo un metodo caro a Ronconi. Sono tutti bravi, dalle coriste al Creonte di Antonio Zanoletti, al Giasone di Alfonso Veneroso, alla nutrice, con le sue melopee d’Oriente (Elena Polic Greco). Il racconto del messaggero (Tommaso Cardarelli) ci fa letteralme­nte vedere l’avvelename­nto della rivale attuato tramite doni portati dai figli: trascorre dal terrore al riso isterico trattenuto, in un pezzo di nevrotica potenza.

Il protagonis­ta, Branciarol­i, materializ­za tensioni, misteri, per via di ritmi, accelerazi­oni, ruggiti, rallentame­nti, sfrangiame­nti delle parole.

Tutto ci pone di fronte allo scandalo di non essere una fiction o una depressiva commedia all’italiana e neppure un film americano. Medea ci sbatte in faccia la diversità folle, squarciant­e, del teatro, esibendo un monstrum, di quelli che continuame­nte cerchiamo di normalizza­re, di rendere quotidiano, e che all’improvviso esplodono rivelando l’inadeguate­zza dei nostri sforzi e strumenti. Medea è arcaica, e perciò ha in sé una radice squassante dell’umano, interpreta­ta da uno degli ultimi mostri sacri della generazion­e dei Tino Schirinzi e dei Carmelo Bene.

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