Una vita senza prospettive
L’aggettivo teatrale per un film ha sempre avuto un’accezione piuttosto negativa. Se si escludono i casi in cui serve semplicemente a spiegare l’origine della trasposizione per immagini, di solito viene utilizzato con un «troppo» davanti e indica una presunta, statica verbosità della pellicola. Probabile che alcuni spettatori rispolvereranno la medesima categoria per il nuovo film di Woody Allen, La ruota delle meraviglie, quasi interamente ambientato in interni in una casupola vicino al luna park di Coney Island, e con qualche scena nell’omonima spiaggia popolare. C’è un effetto abbastanza straniante nell’assistere a questa vicenda, ambientata negli anni Cinquanta, dove classi sociali modeste affrontano l’infelicità di una vita senza prospettive, poiché ci si aspettano da un momento all’altro dialoghi scoppiettanti e battute intelligenti salvo poi accorgersi che questa volta Allen ha scelto un tono decisamente drammatico. Non che i recenti Irrational Man o Café Society fossero particolarmente allegri, eppure avevano il loro interesse proprio per il modo in cui esibivano un carattere brillante pronto a trasformarsi in tragedia. E qui torniamo al tema teatrale. Allen deve aver deciso di portare i suoi personaggi in direzione di Tennessee Williams e soprattutto di Eugene O’Neill, esplicitamente citato più volte durante il racconto. E anche la recitazione (ottima Kate Winslet, pessimo Justin Timberlake) segue dunque le direttive, facendosi esplicitamente anti-naturalistica e vicina a un approccio stile Elia Kazan. Il risultato è altalenante, e — sebbene l’onore delle armi il nostro amato autore newyorkese lo meriti sempre — la sensazione di un’operazione stranamente fredda e poco ispirata serpeggia in sala.