TRARRE IL MEGLIO DAI DUE CAVALIERI
Marino Golinelli mezzo secolo fa, un quaranta-cinquantenne fattosi da solo, ragionava sul secolo che sarebbe arrivato. «Club Duemila» si chiamava il gruppo di imprenditori e professori come Romano Prodi e Nino Andreatta: cercavano una strada luminosa per Bologna e l’Italia. Discussioni notturne, in cui chiamavamo ragazzi appena entrati nelle professioni a confrontarsi con big di gran nome. La sinistra li guardava con diffidenza, convinta del processo progressivo della sua e nostra storia. Anche se uno se lo trovava in casa: Gaetano Maccaferri, anomalo rispetto persino alla sua famiglia. Adesso diverte immaginare uno scontro di visioni fra Cavalieri (del lavoro). Il Cavaliere meno giovane che continua inventarsi cose pubbliche e private. Quello più giovane che può passare per attento solo al business. Uno sogna sui Prati di Caprara (168 mila metri quadrati) una cittadella di cultura, tecnologie, innovazione: nelle fabbriche dismesse ha costruito un opificio di arte raffinata e popolare richiamo, strutture innovative per «i giovani e il futuro». Come Isabella Seragnoli con il vicino Mast. L’altro ha il progetto di una cittadella della moda, con 130 milioni da un gruppo tedesco: un outlet di lusso funzionale a finanziare il restyling dello stadio Dall’Ara e convincere uno scalpitante Joey Saputo che alla fine i dollari messi nel Bologna Calcio fanno business. Golinelli è stato sempre attento ai conti pur nel suo mecenatismo. Maccaferri è un raffinato collezionista d’arte, semmai finora sbuffava con garbo per una Bologna non all’altezza della cultura. Le case dell’uno sono sempre aperte per l’altro. Fuori dalle semplificazioni, adesso sta a chi la cultura la diffonde e a chi l’amministra giocare al meglio le carte. L’Università e il Comune. Con realismo, devono costruire una piattaforma per trarre il meglio dai due Cavalieri. Unirli in un progetto che allora sarà davvero colossale, fuori dalle visioni elitarie e dalle proteste dei Comitati. Nessuno ce la può fare da solo. Il rettore Ubertini ha già azzerato il progetto Staveco: i soldi mancano, i tempi sono duri. Il più giovane rettore d’Italia deve trovare un segno da lasciare. Il sindaco Merola si trova una patata bollente come è tutto quel che riguarda l’innovazione. Riccardo Bacchelli in «Il diavolo a Pontelungo» fa complottare l’anarchico Bakunin per portare la rivoluzione a Bologna entrando dalla zona operaia dei Prati di Caprara. Esagerava, ma le rivoluzioni mica le possono fare i «padroni».